Con la nascita del primo figlio la coppia viene riconosciuta come famiglia a tutti gli effetti.
A tale riguardo però occorre dire che la coppia di per sé, quando è ben fondata, è già una famiglia in quanto ha carattere di generatività.
Infatti la generatività della coppia scaturisce dall’amore che la costituisce e si manifesta in alcune espressioni fondamentali: capacità di donare, di accogliere, di prendersi cura, di progettare.
La nascita del primo figlio è la naturale conseguenza di questa generatività e attribuisce alla coppia lo “status” di famiglia. Questo riconoscimento viene innanzitutto da parte dei nonni che smettono di considerare i due coniugi come “i ragazzi” e mandano loro messaggi intesi a qualificarli come genitori.
Il rapporto della giovane coppia con i reciproci genitori subisce evoluzioni diverse: si può verificare un recupero del rapporto madre – figlia, oppure può emergere una competitività latente. La giovane mamma può manifestare bisogno di aiuto e consiglio oppure può nutrire un senso geloso di esclusione.
I due coniugi portano nella famiglia che si accingono a costruire tutte le influenze vissute nella famiglia d’origine: una miriade di messaggi, tutti fedelmente registrati e incancellabili, su di sé, sui rapporti genitori – figli, sui rapporti di coppia, su ruoli e concezioni di vita, una lunga serie di giudizi e pregiudizi con tutti i sentimenti ad essi collegati. Nel rapporto con il figlio tutte queste influenze vengono attivate in modo spesso inconsapevole e in forme diverse:
- o si tende a ripetere i comportamenti dei genitori anche quando se ne riconosce la manchevolezza o problematicità;
- o si reagisce ad essi facendo l’esatto contrario, con una radicalità che manca ancora una volta di equilibrio;
- o si oscilla dall’una all’altra parte.
Inoltre le influenze della famiglia paterna si amalgamano con quelle della famiglia materna.
E’ questo il punto cruciale, solo se possiamo permetterci di essere diversi dai nostri genitori potremo permettere ai figli di essere diversi da noi. Altrimenti si perpetuano catene di dipendenze e storie che si ripetono.
Per tornare alla nascita del figlio diciamo che tutti i rapporti devono essere reimpostati, emergono nuovi ruoli, quelli dei nonni innanzitutto, ma anche degli zii etc.
Ma dentro la coppia che cosa avviene?
Un figlio unisce i due per la vita, ma nello stesso tempo separa; innanzitutto si intromette nella coppia e sottrae tempo all’intimità del rapporto; la giovane madre prova sentimenti tutti nuovi di tenerezza, di protezione, di orgoglio, a volte anche di possesso.
Sente anche su di sé una nuova responsabilità, quella di accudire il figlio nel modo migliore e a volte può temere di non farcela. Questo può far nascere in lei sentimenti di inadeguatezza o di colpa, la sensazione di non essere una buona madre.
In conseguenza di ciò si aspetta dal marito un supplemento di aiuto e comprensione e questi d’altra parte si trova nella situazione di dover dare di più ricevendo di meno e spesso sentendosi escluso e trascurato.
La coppia deve tener conto che il sentimento materno è diverso da quello paterno: il primo più istintivo ed esclusivo, il secondo più razionale e bisognoso di tempo per crescere e definirsi nel rapporto col figlio.
I coniugi, prima del nuovo arrivo, hanno creato un’identità di coppia: la costruzione del nido, interessi e abitudini comuni, progetti di vita, rapporti sociali, tutto ciò che li qualifica come un “noi”. Il figlio sfida l’identità di coppia e la rimette in discussione su molti versanti.
La coppia che progetta di costruire una famiglia deve mettere in conto che occorre tutta una vita per capirsi e che il rapporto, costruito giorno dopo giorno, deve crescere nel succedersi delle diverse fasi fino alla fine. Ci vuole poco tempo per scoprire i difetti dell’altro, ma occorre una vita per scoprirne le qualità.
Riconosciuta la diversità dell’altro ci si può trovare lontani, quasi estranei. La mancanza di conoscenza dei dinamismi della coppia può ingigantire le difficoltà e creare sconforto.
Per tutto ciò bisogna mantenere vivo il dialogo, un dialogo costruito sulla manifestazione di sé e sull’ascolto.
Serve restare in contatto con i propri sentimenti, sforzarsi di percepirli e manifestarli all’altro, non dare mai niente per scontato, non pensare cioè che l’altro possa capire i sentimenti del coniuge ed i veri motivi del suo comportamento senza che questi glieli abbia detti.
Quindi saper ascoltare l’altro, saper arrivare a delle mediazioni, in quanto il matrimonio si fonda in gran parte su un saggio lavoro di mediazione, è una contrattazione continua, una spartizione di compiti e di potere dalla quale nasce lentamente una collaborazione sempre più decisa.
La coppia deve reimpostare i rapporti con le reciproche famiglie d’origine. Questo non vuol dire voltare le spalle alle proprie famiglie di origine, ma che la coppia ha bisogno di tracciare chiaramente i suoi confini, di definire uno spazio tutto suo su cui costruire una nuova famiglia con nuove abitudini e una nuova cultura, mediazione e sintesi delle culture di provenienza.
Infine occorre menzionare l’importanza dell’apertura all’esterno: agli amici reciproci e comuni, alle altre famiglie, al mondo in una dialettica continua di costruzione interna e di interazione con l’esterno in cui la coppia ha bisogno di crescere, evitando di ripiegarsi su se stessa.
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Riferimenti
- Giannina Semprini, responsabile del “Centro Don Milani”, centro di prevenzione, psicoterapia e formazione.