Gli attacchi di panico, come affrontarli

Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) l’attacco di panico corrisponde ad un periodo preciso di paura e disagio intensi, durante il quale una serie di sintomi si sviluppa improvvisamente:

  1. palpitazioni o tachicardia,
  2. sudorazione,
  3. tremori fini o a grandi scosse,
  4. dispnea o sensazioni di soffocamento,
  5. sensazioni di asfissia,
  6. dolore o fastidio al petto,
  7. nausea o disturbi addominali,
  8. sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento,
  9. derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi),
  10. paura di perdere il controllo o di impazzire,
  11. paura di morire,
  12. parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio),
  13. brividi o vampate di calore.

Un’esperienza di attacchi di panico ha peculiarità uniche, come unica è la storia dell’individuo, ma è possibile delineare alcune caratteristiche più comuni: in primo luogo, l’attacco di panico ha una durata relativamente breve, da pochi minuti fino a poco più di mezzora, che può sembrare però un’eternità.

La persona colpita sente il panico come una sensazione estranea al proprio vissuto in quel momento, una sensazione incontrollabile che costringe ad interrompere ciò che si sta facendo in quanto i sintomi fisici richiamano la totale attenzione.

L’età di esordio è solitamente tra i 15 e i 35 anni; la frequenza e la gravità degli attacchi varia moltissimo da individuo a individuo: alcuni sperimentano attacchi di panico ogni settimana, oppure mensilmente, mentre altri riferiscono periodi in cui gli attacchi sono più frequenti intervallati a mesi senza che si verifichi un vero e proprio attacco, ma magari solo uno stato di ansia piuttosto controllabile.

La ricerca di aiuto è di solito immediata e con tutti i caratteri dell’urgenza medica; l’attacco di panico è sentito come primariamente corporeo e dunque ci si rivolge al Pronto Soccorso pensando di avere un principio di infarto, o una compromissione dell’apparato respiratorio o una crisi acuta di un’altra malattia organica.

Quando però gli esami diagnostici e le visite mediche non riscontrano alcuna patologia fisica, il paziente prova spesso uno stato di terribile incertezza e non si sente affatto rassicurato.

Il panico è descritto da sintomi fisici concreti, il terrore è collocato dentro il proprio corpo, il pericolo è identificato all’interno di se stessi e il proprio mondo interno sembra rivelarsi un luogo sconosciuto, contenitore di sensazioni sconvolgenti a cui non si può sfuggire.

L’ansia e il panico sono sintomi di disagio psicologico in cui più si avverte la dimensione corporea, biologica: si percepisce aumento della frequenza cardiaca, difficoltà di respirazione, vertigini, nausea, tremori, sudorazione, vampate di calore, senso di freddo improvviso agli arti o sensazione di torpore, dolori al torace, fitte al cuore etc.

Queste manifestazioni somatiche dell’ansia trovano una parziale spiegazione nel meccanismo di attivazione naturale del corpo in situazioni stressanti; le nostre emozioni si correlano ad un’ampia serie di ormoni cerebrali (come la dopamina, la noradrenalina, le endorfine) e gli eventi esterni hanno la capacità di modificare l’equilibrio neuroendocrino (per esempio un evento piacevole può stimolare la produzione di endorfine, l’attività fisica e sportiva può avere un effetto eccitatorio ecc), ma la risposta agli stessi eventi è differenziata da individuo a individuo, in rapporto sia alla struttura fisica, che all’influenza delle esperienze precedenti.

Si possono considerare stressanti tutti gli eventi che comportano un cambiamento nella nostra vita, specialmente se improvviso.

Pur essendo stato riconosciuto un substrato biologico che sottende il panico, la modalità di cura più adatta per questo disturbo è l’intervento integrato che unisce la terapia farmacologica, utile nel momento di presa in carico e gestione di emergenza, con la terapia psicologica, al fine di chiarire le cause che hanno determinato questo disagio ed attivare un processo di reale cambiamento.

Lo scopo della farmacoterapia è ridurre i sintomi o eliminarli; la scelta di intraprendere un trattamento psicologico nasce invece dalla constatazione che nella maggioranza dei casi talune situazioni come la perdita o rottura di importanti relazioni personali sono associate con il disturbo di panico e che gli studi suggeriscono certamente delle influenze psicologiche (Gabbard, 1995).

Cos’è l’ansia? Come si manifesta?

L’ANSIA E I SUOI SIGNIFICATI

L’ansia è espressione di un conflitto interno che è importante indagare per poi rielaborarlo. È una forma di paura, un campanello d’allarme lanciato dall’Io che avverte un pericolo che va individuato. In questi disturbi in genere le aree di funzionamento generale della persona sono prevalentemente conservate o compromesse in modo circoscritto. L’’Io continua a svolgere le sue funzioni anche se con disagio e difficoltà. Il rapporto con la realtà appare quindi mantenuto.
L’aspetto centrale da esplorare riguarda il conflitto e le pulsioni sottostanti la sintomatologia ansiosa. È importante sapere da quanto tempo si è presentato il disturbo, quali sono state le circostanze di insorgenza del sintomo e su quali tematiche verte principalmente l’eccessiva preoccupazione del soggetto. A questo proposito può essere d’aiuto raccogliere informazioni sui momenti della giornata (per esempio mattina presto prima di andare a lavoro) e circostanze in cui la sintomatologia diviene più acuta.
L’ansia è in genere un segnale di pericolo e quindi è opportuno indagare quali sono gli aspetti del Sé che la persona teme possano essere minacciati e da cosa sta cercando faticosamente di proteggersi. Per accertare il livello di gravità del disturbo e le risorse della persona è utile conoscere il livello di compromissione delle aree di funzionalità generale, gli stili difensivi messi in atto e la percezione di sé.
L’ansia è uno stato d’inquietudine, di attesa affannosa, di pericolo imminente e indefinibile vissuto come un fenomeno primario, globale e irriflessivo. L’ansia si associa inoltre ad un sentimento di incertezza e impotenza. Mentre la paura è una risposta emozionale a una minaccia reale (e che viene riconosciuta come tale dall’individuo), l’ansia è priva di un oggetto scatenante o meglio questo non viene chiaramente riconosciuto dall’individuo. All’esperienza emozionale soggettiva dell’ansia si associa un corteo di sintomi neurovegetativi (tachicardia, ipertensione, tachipnea, midriasi, sudorazione,tremori, turbe degli apparati digerente, genito-urinario, ecc.) che vengono comunemente considerati come elementi secondari alla turba affettiva, ma che si ripercuotono sul vissuto emozionale esacerbandolo.
Si distinguono le crisi d’angoscia, dette anche ansia acuta, da un’ansia definita cronica.

CRISI DI ANGOSCIA (ANSIA ACUTA / ATTACCHI DI PANICO)

Si manifestano acutamente con un sentimento penoso di attesa di qualche cosa di profondamente sgradevole o dannoso, vissuto in una condizione di impotenza. Questo sentimento è accompagnato da disturbi vegeto-emotivi (palpitazioni, difficoltà respiratorie, pallore, midriasi, ecc..) e da disorganizzazione comportamentale. L’ansia acuta può avere una diversa intensità e durata: si possono osservare brevi episodi caratterizzati da un improvviso emergere di emozioni spiacevoli che il paziente riesce a dominare, ed episodi, che si protraggono per ore, durante i quali il soggetto vive uno stato di continua, intensa dolorosa angoscia punteggiata da esacerbazioni di panico e di terrore.
L’angoscia è descritta come una pena misteriosa, terribile e spaventosa; un sentimento di imminente catastrofe fatto di inquietudine, scoramento, disperazione e terrore. Concomita il sentimento di morte imminente per un attacco cardiaco o la paura di svenire; il timore di essere visto in questo stato di malattia e di incapacità accentua lo stato di pena. L’ansia comporta inoltre una spinta impellente a fare qualcosa, a correre, urlare, scappare.
Lo stato affettivo spiacevole si associa ad una serie di disturbi somatici. In primo piano sono i disturbi cardiaci: tachicardia con senso di vuoto nel petto, dolori acuti in sede precordiale, all’apice del cuore o nel quadrante superiore sinistro del torace con irradiazione all’ascella ed al braccio sinistro. Frequenti sono i disturbi respiratori caratterizzati da sensazione di non immettere sufficiente aria nei polmoni (respiro che si arresta, che non si completa: “respiro interciso”) e dall’aumento della frequenza e profondità della respirazione.
Altri sintomi somatici di frequente riscontro sono quelli a carico del disturbo digerente (secchezza della bocca, bolo esofageo, spasmi gastrici e intestinali, nausea, vomito, diarrea, tenesmo rettale), delle vie urinarie (poliuria, pollachiuria, tenesmo vescicale), dell’apparato neuromuscolare (tremore, spasmi, fibrillazioni), degli organi sensitivo-sensoriali (ronzii auricolari, mosche volanti, visione offuscata, ecc.).
Lo stato di ansia acuta disorganizza il comportamento e compromette le funzioni cognitivo-volitive e le capacità prestazionali: il soggetto non può concettualizzare ed agire in modo corretto ed adeguato. La frequenza ed il numero degli attacchi d’ansia variano notevolmente da caso a caso.
Alcuni individui possono presentare solo sporadici episodi in concomitanza con definite situazioni conflittuali; mentre altri possono avere periodi di giorni, settimane o mesi durante i quali gli attacchi si manifestano con notevole frequenza e intensità.

ANSIA CRONICA

Gli attacchi di ansia acuta si presentano talora senza alcun segno premonitore in soggetti in apparenza tranquilli, ma il più spesso emergono da un fondo di ansia cronica. Molti soggetti invece vivono in uno stato continuo di ansia senza andare incontro ad esplosioni acute.
Nello stato permanente di ansia i disordini psichici e i disturbi vegetativi sono quantitativamente minori pur conservando la stessa qualità della crisi d’ansia: l’attesa di un danno, la prospettiva peggiorativa dell’esistenza, i sentimenti di inquietudine, sono vissuti con una tonalità minore e l’esperienza di angoscia si trasforma nella tematica della perplessità, dell’insicurezza, del timore, del dubbio, dell’incapacità ad assumere qualsiasi decisione.
Talora i pazienti non sono capaci di riferire la causa della loro ansia, molti tuttavia riconducono il loro stato a definiti problemi per lo più familiari o di lavoro.
Le manifestazioni cliniche dell’ansia cronica sono polimorfe. Il soggetto esperisce uno stato di nervosismo e di tensione pressoché continuo; è iperestesico ed irritabile e reagisce con manifestazioni emotive esagerate a qualsiasi stimolazione sensoriale od emotiva.
Riferisce disturbi del sonno sotto forma di difficoltà di addormentamento, di interruzione della sua continuità o di risveglio nelle prime ore del mattino (polo mattutino dell’angoscia). Più di rado è il sonno eccessivo. Frequenti sono le condotte alimentari improprie (eccessiva assunzione di alimenti o viceversa diminuzione) e le sensazioni di astenia. Concomitano numerose somatizzazioni dell’ansia, in particolare a carico dell’apparato gastro-intestinale (sensazioni di farfalle nello stomaco, di bruciore, di ripienezza gastrica, diarrea, ecc.).
Un sintomo frequente è la cefalea descritta come un senso di peso e di tensione occipitale o frontale, o di dolore pulsante in sede frontale. Il paziente può lamentare inoltre tensione o dolori muscolari, in particolare al collo e alla schiena, sudorazioni e sensazioni di caldo e di rossore al viso, secchezza della bocca, disturbi sessuali (impotenza e frigidità).
Sul piano psicologico si riscontrano difficoltà di concentrazione e di concettualizzazione e labilità mnemonica. La psiconevrosi ansiosa può portare ad una rilevante compromissione dei livelli prestazionali e dell’integrazione sociale del soggetto.

Concludendo l’ansia è la manifestazione emergente di conflitti psicologici più o meno consapevoli.
La psicoterapia può aiutare la persona ad individuare le cause dell’ansia, indagandone i conflitti connessi e mettendoli al controllo della coscienza. Una volta divenuti consapevoli delle proprie “paure” ci si può preparare ad affrontarle in maniera più costruttiva.

Parliamo di pensiero nevrotico

La nevrosi – in particolare la sua forma più diffusa, la nevrosi ansiosa–depressiva di cui soffre oggi la maggior parte della gente – ci sommerge di ansie e paure che ci impediscono di gioire della vita e del rapporto con gli altri.
Eliminando il pensiero nevrotico e ritornando a quella realtà da cui esso ci allontana, noi impariamo a godere della vita e delle cose che ci stanno intorno.
“Cominciamo con il chiarire una cosa: farsi le seghe mentali è una cosa del tutto naturale. Non sei un/a mostro/a o un/a deficiente se te le fai. Se le fanno tutti”.
Gli scienziati hanno la convinzione che per conoscere una cosa bisogna definirla.

Dicesi “sega mentale” il pensare a cose che non hanno attinenza con la realtà.
La realtà è il nostro corpo e l’ambiente fisico che ci circonda.
La trovi un po’ materialista? Ebbene si. Ma che c’è di male nel materialismo, visto che è reale? Le persone normali sanno benissimo che le cose stanno così.
I nevrotici, sono irrecuperabilmente convinti che la realtà sia dentro la loro testa.

La sega mentale che dà piacere è benefica.
Un tipo particolare di sega mentale benefica è il pensiero creativo.
L’arte, la scienza, la filosofia sono tutte seghe mentali benefiche.
Il mondo reale non ti piace? Te ne inventi uno nel quale ci stai da papa.
Certo, inutile negarcelo, sono tutte fughe dalla realtà. Ma sono bellissime. Ci fanno godere, ci fanno stare bene, ci danno sollievo. E quindi sono, per noi, benefiche.

La sega mentale che dà sofferenza è malefica.
Ma qual’è in dettaglio, il processo che costituisce la sega mentale malefica? Quando l’essere umano si è civilizzato, ha eliminato i pericoli fisici dall’ambiente ma ha creato dei nemici ben più pericolosi dentro il suo cervello.
Il suo Io si è esteso dal suo corpo a una serie enorme di ruoli e immagini, cioè di simboli, non reali.
La sega mentale malefica consiste nell’identificazione dell’Io con un simbolo e nella creazione di sofferenza in seguito alla supposizione di minaccia a tale simbolo estesa all’intero Io.
Noi entriamo in allarme quando ci vengono minacciate le seguenti cose: la moglie, i figli, la casa, il conto in banca, l’automobile, il televisore, l’impiego, gli amici, il riposino pomeridiano, il cane, i genitori, la reputazione, la salute, la prestanza, l’onestà, l’importanza sociale ecc. ecc.
Il nostro Io è diventato ipertrofico, enorme, come un rampicante che ha invaso tutto il mondo a noi circostante.
Più uno possiede cose e relazioni, più uno è ricco e potente, più il suo Io simbolico è esteso.
È evidente che più è esteso il nostro Io, più esso è vulnerabile: è più facile colpire un soldato quando ne abbiamo davanti un reggimento che quando ne abbiamo davanti uno solo.
Il risultato è che noi ci sentiamo continuamente aggrediti in qualche parte simbolica del nostro Io. Le aggressioni reali, quelle fisiche, sono ormai relativamente rare.
Ma il nostro sistema d’allarme non distingue fra aggressioni fisiche reali e aggressioni simboliche pensate.
Perché l’impulso alla sua attivazione proviene dal cervello, non dal mondo esterno. E il nostro cervello decide invariabilmente che le aggressioni simboliche sono aggressioni, a tutti gli effetti. Per cui noi entriamo continuamente in tensione.
E la tensione è vissuta da noi come sofferenza.

Ho voluto riportare parti di testo tratte dal libro di Giulio Cesare Giacobbe
“Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita”.
Dietro a questo titolo provocatorio e umoristico si nascondono diversi spunti di riflessione per tutte le persone che possono ritrovarsi in queste definizioni e interpretazioni.