I pregiudizi nella relazione terapeutica

Quando parliamo di pregiudizi intendiamo ogni serie di fantasmi, idee, verità accettate, presentimenti, preconcetti, nozioni, ipotesi, modelli, teorie, sentimenti personali, stati d’animo e convinzioni nascoste: di fatto ogni pensiero preesistente che contribuisca in un incontro con altri esseri umani, alla formazione del proprio punto di vista, delle proprie percezioni e delle proprie azioni.
Per un terapeuta è molto importante prendere coscienza dei propri pregiudizi.
In tal modo egli può assumersene la responsabilità e utilizzarli nell’interazione terapeutica.

Accettare i propri pregiudizi e prendersene la responsabilità richiede un po’di coraggio e talvolta di irriverenza. Essere irriverenti significa potere e dovere dubitare e andare contro le proprie idee.
L’irriverenza promuove una posizione di disobbedienza da parte del terapista verso ogni idea che limiti la sua operatività e creatività.
L’irriverenza si propone di smantellare le certezze, riformulare le cose da un altro angolo di visuale. È vista come una particolare flessibilità che si applica in primo luogo a noi stessi e alle nostre convinzioni più riverite ed è solo mantenendo un atteggiamento di apertura e dubbio e rendendosi conto che il nostro modo di vedere la realtà non è l’unico e nemmeno il migliore, che aumenta la curiosità per la vita e la storia degli altri.
I pregiudizi non sono necessariamente ingiustificati e sbagliati, ma indicano le linee lungo le quali si muove la nostra apertura al mondo.
I pregiudizi sono semplicemente le condizioni per mezzo delle quali sperimentiamo qualcosa: qualcosa che ha per noi un significato.
Da tutto ciò si evince che un atteggiamento di pregiudizio è un atteggiamento di apertura verso quel qualcosa che ci rende curiosi e che dobbiamo provare, sondare. Tuttavia il rischio è la tendenza a vedere ciò in cui si crede.
Come “non è possibile non comunicare”, così non è possibile non avere pregiudizi, basta esserne consapevoli. Una volta diventati consapevoli e responsabili delle nostre particolari idee possiamo servircene, difenderle o essere irriverenti nei loro confronti.

Non siamo interessati unicamente ai pregiudizi del terapeuta ma anche ai preconcetti e alle opinioni dei nostri clienti. La terapia avviene nell’interazione dei pregiudizi del terapeuta e del cliente. Essa implica inevitabilmente uno scambio costante tra terapeuta e cliente, in cui le azioni e le espressioni dell’uno sono costantemente ispirate, assumono significato, vengono modellate e modellano quelle dell’altro.

Cecchin invita il terapeuta a non prendere una posizione di superiorità rispetto al cliente, a non rimanere rigido sul suo modo di pensare e sulla teoria a cui fa riferimento, ma di mettere sempre in dubbio tutto quello che sa e pensa per lasciare spazio alle idee e al modo di agire dell’altro; idee che nascono da un’altra esperienza di vita e da un altro modo di dare significato alla realtà.

È importante sforzarsi di mantenere un buon livello di tensione tra l’incontro dei diversi pregiudizi piuttosto che permettere che la terapia scivoli in una rigida situazione di impasse. Questo può favorire la riorganizzazione costruttiva e lo sviluppo di una più ampia indispensabile molteplicità di alternative per il cliente.

Vengono descritte due tipologie di terapeuti, concentrandosi sul modo in cui la storia personale di un terapeuta influenza i suoi pregiudizi e il suo operato:

  • Il terapeuta ferito: il “terapeuta ferito” racconta di essere stato maltrattato o trascurato da piccolo, di aver ricevuto aiuto da alcune persone e di dover offrire agli altri lo stesso sostegno dato a lui; molto spesso vi è l’idea che ciò di cui le persone hanno bisogno sia calore, comprensione. Il rischio è che il cliente diventi dipendente dall’amore assoluto del terapeuta.
  • Il terapeuta missionario: il “terapeuta missionario” racconta di provenire da una famiglia sana in cui gli è stato insegnato il meglio e quindi sa cosa sia normale e come una famiglia o un individuo dovrebbe comportarsi. Ha l’idea di essere debitore di qualcosa agli altri e che altre famiglie desiderino avere ciò che lui ha da dare. I terapeuti che stabiliscono tale tipo di relazione tendono a presentare le loro convinzioni personali come verità. Il rischio è che il cliente diventi dipendente dalla sua autorità.

Questi pregiudizi possono diventare un problema per la relazione terapeutica quando i terapeuti li presentano non come modo di vedere la realtà ma come realtà assoluta, precludendo ogni tipo di apertura verso le opinioni degli altri.
Secondo Cecchin e la sua teoria non importa quanto una persona sia esperta di un modello, quanto buona sia la sua supervisione e psicoterapia, i suoi pregiudizi trapeleranno sempre, quindi è forse più importante che questa persona prenda coscienza delle sue fantasie, idee, verità accettate, stati d’animo e convinzioni e si renda conto che queste non sono verità astratte ma pregiudizi derivanti dalla sua esperienza di vita e quindi vulnerabili di cambiamento e che possono essere utilizzati in modo positivo nel rapporto terapeutico per generare apertura al dialogo e curiosità verso il sistema.

La curiosità porta a sperimentare e inventare punti di vista e mosse alternativi che generano a loro volta curiosità. Il terapeuta può offrire al paziente un altro paio di occhiali, un’altra lente, attraverso la quale guardare la sua storia, perché lui possa incominciare a riscriverla e a narrarla sempre negli stessi luoghi e con gli stessi personaggi ma in maniera migliore.
Cecchin afferma che “la curiosità e l’interesse estetico per i patterns producono rispetto, proprio come il rispetto genera un senso di curiosità di piacere estetico”.

Mi è parso interessante proporre l’argomento in questione per dare l’immagine di terapeuta prima di tutto come persona che vive con pregiudizi non solo in terapia, ma nella vita di tutti i giorni.
Parole come pregiudizi, curiosità, irriverenza, responsabilità, rispetto assumono significato nella vita come in terapia: l’importanza del rispetto per gli altri, per le loro idee, l’essere disposti a cambiare il proprio punto di vista, a modificare i propri atteggiamenti, ad essere irriverenti quando è necessario e a mettersi in gioco.

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Riferimenti bibliografici

  • “Verità e pregiudizi, un approccio sistemico alla psicoterapia” di G. Cecchin, G. Lane, W. A. Ray, (1997).
  • “Ipotizzazione, circolarità e neutralità: tre direttive per la conduzione della seduta” di M. Selvini Palazzoli, L. Boscolo, G. Cecchin, G. Prata, (1980).
  • “Revisione dei concetti di ipotizzazione, circolarità e neutralità. Un invito alla curiosità” di G. Cecchin, (1987).
  • “L’uso e il non uso del pregiudizio in terapia” di G. Cecchin, seminario 1996.
  • “L’irriverenza. Una strategia di sopravvivenza per i terapeuti” di G. Cecchin, Lane G., Ray W. A., (1993).