Le persone possono porsi varie domande rispetto alla scelta di uno psicologo/psicoterapeuta, ad esempio che differenza c’è tra uno psicologo e uno psicoterapeuta, quale figura scegliere se uno psicoterapeuta ad indirizzo sistemico relazionale o cognitivo comportamentale etc…
Partendo dalla prima lo psicoterapeuta a differenza dello psicologo possiede una specializzazione quadriennale post laurea; vi sono diversi indirizzi nella specialistica e diventa difficile per la persona orientarsi in essi.
Potrà informarsi sugli ambiti di intervento del professionista in oggetto, sulla sua formazione, ma poi come scegliere?
Non c’è nulla che precluda ad uno psicoterapeuta specializzato nell’età evolutiva di prendere in carico un adulto o ad uno ad esempio specializzato in terapia cognitivo-comportamentale di prendere in carico un bambino.
Molto dipende dall’esperienza del professionista, esperienza maturata nell’attività clinica e non solo, dalla sua competenza, dal desiderio di ampliare i propri campi di intervento, dall’interesse verso di essi, dalla voglia di aggiornarsi e formarsi, nonché dalla personalità (ad esempio ho sentito alcuni psicoterapeuti dire che non se la sarebbero sentiti di prendere in carico un bambino, in quanto i bambini nella propria esperienza e storia personale “non gli sono mai piaciuti”).
Quello che è alla base di un colloquio clinico, a prescindere dai propri modelli, dalle teorie di riferimento, è l’instaurarsi di una relazione di fiducia tra la persona e il terapeuta.
Il terapeuta deve essere in grado di valutare la condizione generale del soggetto e intervenire per rispondere alla sua domanda di aiuto e ai suoi bisogni.
Ecco che gli strumenti e le modalità di condurre un percorso psicoterapeutico per una persona che soffre di attacchi di panico saranno diversi se ad affrontarlo sarà un terapeuta con specializzazione sistemico–relazionale o cognitivo-comportamentale: diversi ma non per questo migliori o peggiori.
Entrambi gli psicoterapeuti mettono a disposizione il proprio sapere per cercare di offrire qualcosa di più del semplice ascolto: una diagnosi e un intervento in grado di ridurre il dolore.
L’intervento non prevede la somministrazione di farmaci come può utilizzare ad esempio uno psichiatra. Ma se i farmaci agiscono sui sintomi, ad esempio per migliorare l’umore depresso di una persona, non agiscono sulle cause che possono avere scatenato tale umore, né lavorano sula storia, eventuali perdite, traumi significativi che possono essere collegati al sintomo attuale che la persona ci mostra. E questo lavoro personale può servire al soggetto prima di tutto per diventare consapevole di alcune dinamiche e poi per acquisire gli “strumenti” utili ad affrontarle, senza ricorrere solamente al farmaco in sé, ma cercando di capire.
Fare un percorso con uno psicoterapeuta può essere faticoso, richiedere un dispendio di energie mentali ed emotive.
Quello che deve essere chiaro è che uno psicoterapeuta lavora con persone che in quanto tali sono diverse una dall’altra.
Non può trattare la storia di anoressia di Carla allo stesso modo di quella di Maria, per questo non deve avere la pretesa di risolvere casi da manuale, né di possedere la pozione magica che risolve tutti i problemi.
Ciò che inoltre è basilare è la motivazione della persona ad intraprendere il percorso, dando la propria fiducia al terapeuta in questo.
Solitamente le sedute sono settimanali, ma ci sono persone che fanno un percorso di dieci sedute, chi di meno, chi di più, chi distanzia i colloqui a due settimane, chi a un mese.
Ogni persona è unica, ogni storia è irripetibile, per questo ognuno risponderà alle proprie aspettative e richieste in tempi diversificati.
Con questo spero di aver risposto ad alcune delle possibili domande che la persona può farsi nella scelta di questa figura professionale che deve esser in grado di offrire molto di più di un semplice ascolto.