Il disturbo ossessivo compulsivo di personalità

Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è una delle dieci malattie mentali più invalidanti e che determina una peggiore qualità di vita, secondo quanto indicato dall’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS).
La prevalenza del DOC nel corso della vita è del 2.5%.
Diversi studi hanno dimostrato che la qualità di vita di questi pazienti è peggiore di quella delle persone con depressione, schizofrenia e dipendenza da sostanze.
Secondo il DSM-5, pensieri suicidari sono presenti nella metà degli individui con DOC, e circa il 25% di pazienti tenta il suicidio.

Le persone con DOC hanno una qualità di vita molto bassa, infatti il DOC può distruggere le relazioni interpersonali, portando gli individui a conflitto coniugale, separazione e divorzio, e può anche interferire pesantemente con la capacità delle persone di studiare o lavorare.
Infatti, per quanto riguarda la realizzazione scolastica/lavorativa, sappiamo che molti pazienti con DOC non riescono a studiare né a lavorare, o hanno un’occupazione ben al di sotto dei loro titoli di studio e delle loro capacità.
Inoltre, hanno problemi nello svolgere le normali attività quotidiane, e le loro relazioni sociali e sentimentali risultano profondamente danneggiate.

Tra i criteri diagnostici ricordati nel DSM per definire il Disturbo Ossessivo Compulsivo di personalità vi sono: pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti vissuti come intrusivi e inappropriati.
Nel DOC vi è un’eccessiva importanza attribuita ai pensieri con una necessità di controllo totale su su di essi, un eccessivo senso di responsabilità, perfezionismo, controllo sulle circostanze di vita, un’intollerabilità dell’ansia.

Bisogna però distinguere tra ossessioni, ossia pensieri che ritornano continuamente e in maniera tormentosa e compulsioni, ovvero impulsi volontari a compiere determinate azioni, col fine di placare, seppur momentaneamente, l’ansia generata dal contenuto delle ossessioni.

Per questo le ossessioni sono a livello mentale, mentre le compulsioni si traducono nell’atto pratico.
Ad esempio la compulsione di lavarsi più e più volte le mani può derivare dall’ossessione che si ha di contaminazione, di prendere ad esempio malattie infettive.

Vi sono vari tipi di ossessioni, da quelle di sporco e contaminazione, ossessioni numeriche (sui numeri, sulle date), ossessioni esistenziali (sulla vita, sulla morte), sessuali (stupro, omosessualità), religiose, dubitative, ossessioni collegate alla paura di arrecare danni agli altri.

Le compulsioni si traducono in rituali che possono essere di vario tipo, dai rituali di ordine e pulizia, di ripetizione e conteggio, di conservazione e accumulo a quelli di controllo (gas, luce) etc.

Le ossessioni e compulsioni causano disagio e interferiscono con il funzionamento lavorativo e/o scolastico e con le relazioni sociali. La persona riconosce che le proprie ossessioni sono inappropriate, tuttavia tende a ripeterle.

Tra le possibili cause vengono menzionate l’influenza di fattori ambientali, individuali e neurobiologici.
Anche la storia familiare della persona è importante. A tale proposito Selvini menziona tra le possibili cause del DOC “un bambino che si è caricato o è stato caricato da un eccesso di regole e rigida disciplina”.
Per questo oltre all’utilizzo di tecniche strategiche/comportamentali che agiscono sui processi mentali che sono responsabili del mantenimento del disturbo agendo sul qui ed ora, una psicoterapia ad orientamento familiare è importante nell’aiutare la persona a ripercorrere e rileggere il proprio vissuto, lavorando anche sul suo passato per comprendere le cause di possibili comportamenti.

I disturbi del Comportamento Alimentare

I disturbi alimentari sono essenzialmente disturbi della mente e quindi prima ancora che compaiano i segni fisici della malattia, sono già presenti da tempo quelli psicologici che in modo sotterraneo invadono le idee e i pensieri dei ragazzi.
Quindi il cambiamento fisico si accompagna e, a volte, viene preceduto da un grande cambiamento di carattere: instabilità emotiva, irritabilità, sbalzi del tono dell’umore, insonnia.
Tutti sintomi collegati alla malnutrizione ma in parte da ricondurre anche alla devastazione terribile che questi disturbi determinano nella mente di queste giovani vite.
Purtroppo l’attenzione all’alimentazione e l’eliminazione di alcuni alimenti, come pasta e dolci, è presente in moltissimi adolescenti e quindi non viene inizialmente compresa nella sua gravità.
Ma quando questa attenzione diventa continua, ossessiva e si accompagna al continuo osservarsi allo specchio e al continuo salire sulla bilancia ciò deve farci riflettere se non stia succedendo qualcosa.
Tenete conto che i Disturbi Alimentari sono diversi e l’inizio può essere molto subdolo e insidioso.
L’anoressia restrittiva si manifesta con l’eliminazione di alcuni alimenti cosiddetti fobici (pane, pasta, dolci, olio) ma anche con la riduzione delle porzioni, un’intensa attività fisica, la diminuzione delle attività sociali per evitare di essere costrette a mangiare.
L’anoressia si accompagna ad una grande fame e chi ne è affetto deve contrastare l’impulso a mangiare che è fortissimo; si cerca di tenere a bada i morsi della fame bevendo caffè, molta acqua, usando molte spezie, invece dei condimenti.
Nel caso dell’anoressia nervosa esistono un ampio numero di alterazioni dell’apparato cutaneo quali pelle molto secca e squamosa, sottile peluria che ricopre tutto il corpo, caduta dei capelli, acne, prurito, porpora, stomatite.
Nel caso della Bulimia il disturbo può passare inosservato ancora più a lungo, perché le pazienti ai pasti mangiano, anzi a volte si abbuffano, ma subito dopo si procurano il vomito.
In questo caso i sintomi psicologici sono più presenti e rilevanti: abuso di sostanze e di alcool, cleptomania, disturbi della condotta sessuale, disturbi del comportamento, gioco d’azzardo, shopping multicompulsivo.
Insomma uno scarso controllo degli impulsi con un cambiamento del carattere molto più evidente che nel caso dell’anoressia.
Il Disturbo da Alimentazione Incontrollata infine è caratterizzato da grandi abbuffate senza vomito o metodi di compenso, con un conseguente aumento di peso da subito molto evidente; le abbuffate sono consumate quasi sempre di nascosto: frigoriferi svuotati e carte di biscotti e cioccolato sotto il letto possono essere i primi segnali, accompagnati da un disordine generale nella vita e da un abbassamento del tono dell’umore, da grande nervosismo e irritabilità.
L’abbuffata si innesca come un comportamento automatico, ma può ben conciliarsi anche con attività quali guardare la televisione, ascoltare musica, distrarsi e altre ancora, dove non sia necessario pensare.
I cibi che vengono prevalentemente ricercati durante questi episodi sono prevalentemente dolci o alimenti ad alto contenuto di grassi.
Anche i carboidrati sono presenti, ma non in proporzioni esorbitanti rispetto alla loro normale assunzione durante gli altri pasti.
In definitiva, vengono preferiti proprio quei cibi che la persona di solito non si concede perché li considera “pericolosi” dal punto di vista calorico.
E’ importante specificare che l’inizio del disturbo può essere di tipo anoressico, per poi facilmente evolvere verso un quadro di Bulimia o Disturbo da Alimentazione Incontrollata, ma c’è un filo conduttore di tutti e tre questi Disturbi ed è un’intensa, continua e martellante ideazione sul cibo e forme corporee.
A volte i Disturbi del Comportamento Alimentare si associano ad altri disturbi psichiatrici; è necessario tenerne conto perché possono condizionare negativamente il decorso della malattia in termini di tendenza alla cronicizzazione e maggior predisposizione alla resistenza al trattamento.
Ciò è valido anche per l’influenza negativa che il disturbo alimentare può avere sul disturbo psichiatrico, laddove uno stato di compromissione cognitiva correlato ad una condizione di denutrizione può complicare notevolmente il normale decorso delle malattie associate.
I disturbi psichiatrici più comunemente associati ai disturbi del comportamento alimentare sono i disturbi dell’umore, della personalità, disturbi d’ansia e disturbi legati all’uso di sostanze o alcool.
L’associazione tra disturbi alimentari e disturbi psicotici è molto rara e comunque più frequente per l’anoressia.
L’abuso di sostanze e di alcool e la dipendenza da sostanze sono molto frequenti soprattutto in coloro che effettuano abbuffate e ricorrono a condotte di eliminazione e quindi in casi di Bulimia e Disturbo da Alimentazione Incontrollata.

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Bibliografia

  • “Il vaso di Pandora. Guida per familiari, amici, insegnanti e pazienti con Disturbi del Comportamento Alimentare” a cura di Laura Dalla Ragione, Paola Bianchini e Chiara de Santis, Associazione Mi fido di te onlus.
  • “Maestra, ma Sara ha due mamme?” a cura di Alessandra Gigli, Edizioni Guerini, 2011.

Disturbo da Dismorfismo Corporeo

Secondo il DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), i criteri diagnostici del Disturbo da Dismorfismo Corporeo sono:

  • Preoccupazione per uno o più difetti percepiti nell’aspetto fisico, che non sono osservabili o appaiono agli altri in modo lieve
  • Comportamenti ripetitivi o azioni mentali in risposta a preoccupazioni legate all’aspetto
  • La preoccupazione causa disagio clinicamente significativo oppure menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o in altre aree importanti
  • La preoccupazione legata all’aspetto non è meglio giustificata da preoccupazioni legate al grasso corporeo o al peso in un individuo i cui sintomi soddisfano i criteri diagnostici per un disturbo alimentare

È importante specificare, inoltre, se il disturbo si manifesta con Dismorfia Muscolare (APA, 2013), caratterizzato dalla preoccupazione cronica di avere una costituzione corporea troppo esile o insufficientemente muscolosa.
Nella dismorfofobia, la preoccupazione legata alla percezione di uno o più difetti fisici inesistenti o lievi determina un grave disagio e/o una compromissione delle attività quotidiane.

  • Ogni giorno, il soggetto passa ore a preoccuparsi dei presunti difetti, che possono interessare una qualsiasi parte del corpo.
  • Il medico pone una diagnosi di dismorfofobia quando le preoccupazioni estetiche provocano un grave stato ansioso o interferiscono con l’attività quotidiana.
  • Alcuni antidepressivi (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina oppure la clomipramina) e la psicoterapia sono spesso efficaci (associando anche interventi come la psicoeducazione, la ristrutturazione cognitiva, l’esposizione allo specchio, l’attivazione comportamentale).

Il soggetto dismorfofobico crede di avere una o più imperfezioni o difetti fisici, che in realtà sono inesistenti o lievi. Continua a fare determinate cose (come controllarsi allo specchio o confrontarsi a livello estetico con altri) perché è molto preoccupato delle presunte imperfezioni nel suo aspetto.
Il disturbo da dismorfismo corporeo di solito si manifesta nel corso dell’adolescenza ed è leggermente più comune tra le donne. Questo disturbo colpisce circa il 2-3% delle persone.

I sintomi del disturbo da dismorfismo corporeo possono svilupparsi gradualmente o improvvisamente, hanno intensità variabile e in assenza di trattamento tendono a persistere.
Le preoccupazioni interessano generalmente il volto o il capo, ma possono coinvolgere una o più parti del corpo e variare in base alla parte interessata.
Ad esempio, il soggetto può preoccuparsi per la percezione di un diradamento dei capelli, di presenza di acne, rughe o cicatrici, oppure del colore della pelle o di un’eccessiva peluria facciale o corporea.
Può inoltre focalizzare l’attenzione sulla forma o le dimensioni di una parte del corpo (naso, occhi, orecchie, bocca, seno, gambe o glutei).
Alcuni uomini con un fisico normale o addirittura atletico si reputano gracili e tentano in tutti i modi di aumentare il peso e la muscolatura, una condizione chiamata dismorfia muscolare.

Il soggetto dismorfofobico può descrivere le zone del corpo che non accetta come brutte, poco attraenti, deformate, ripugnanti o mostruose.
La maggior parte dei soggetti dismorfofobici non è consapevole di avere un aspetto effettivamente normale e ha difficoltà a tenere a bada le proprie preoccupazioni: ogni giorno passa ore a preoccuparsi dei suoi presunti difetti.
Il soggetto può credere che altri lo stiano osservando o prendendo in giro a causa del suo aspetto. La maggior parte dei soggetti dismorfofobici si esamina spesso allo specchio, mentre alcuni evitano di guardarsi e altri ancora oscillano tra questi due comportamenti.
Molti dismorfofobici effettuano un’eccessiva e compulsiva toelettatura, tendono ad escoriarsi (per rimuovere o sistemare i presunti difetti cutanei) e vogliono essere rassicurati sui presunti difetti.
Possono cambiare spesso indumenti per cercare di nascondere o camuffare il difetto inesistente o presente in forma lieve, o cercare di migliorare l’aspetto in altri modi.
Ad esempio, un soggetto può farsi crescere la barba per nascondere presunte cicatrici o indossare un cappello per coprire un lieve diradamento dei capelli. Per correggere il presunto difetto, la maggior parte dei dismorfofobici si sottopone, talvolta ripetutamente, a trattamenti medici di cosmesi (molto spesso dermatologici), nonché odontoiatrici o chirurgici. Questi interventi generalmente non sortiscono effetti e possono intensificare la preoccupazione.

Poiché il soggetto dismorfofobico è convinto di avere un problema estetico, talvolta evita di mostrarsi in pubblico, di recarsi a lavoro, a scuola e di partecipare alle attività sociali.
Alcuni di quelli che presentano sintomi gravi escono di casa solo di notte, mentre altri non escono affatto. Pertanto, questo disturbo spesso porta all’isolamento sociale.
Nei casi molto gravi, il disturbo di dismorfismo corporeo è invalidante. L’angoscia e le difficoltà associate a questo disturbo possono portare a depressione, a problemi di uso di alcol o sostanze, a ripetuti ricoveri, a un comportamento suicidario e al suicidio.
Nel corso della vita, circa l’80% dei soggetti con disturbo di dismorfismo corporeo manifesta ideazione suicidaria e da un quarto a quasi il 30% tenta il suicidio.
Molti soggetti con disturbo di dismorfismo corporeo soffrono anche di altre malattie mentali, come il disturbo depressivo maggiore, il disturbo da uso di sostanze, il disturbo d’ansia sociale o il disturbo ossessivo-compulsivo.

Nelle concettualizzazioni del BDD (Body Dysmorphic Disorder) , il ruolo della vergogna risulta centrale sia nello sviluppo che nel mantenimento del disturbo.
Veale e Gilbert (2014) hanno proposto che la vergogna guidi i comportamenti problematici, come il controllo e il camuffamento estetico, il confronto di sé con gli altri e l’evitamento sociale.
La vergogna contribuisce quindi in modo significativo all’aumento generale dei sintomi e delle conseguenze psicosociali negative comunemente associate, come funzionamento limitato, depressione e pensieri suicidari (Weingarden et al., 2016, 2017).
La vergogna si riferisce all’esperienza emotiva di percepire il sé come intrinsecamente difettoso e socialmente indesiderabile (Lewis, 1971).
Implica l’autocritica, comprese le autovalutazioni negative per difetti percepiti o carenze, con il conseguente bisogno di “scomparire” o nascondersi.
Considerando gli alti tassi di esiti psicosociali avversi tra le persone con BDD, questi risultati suggeriscono che la vergogna possa effettivamente essere un obiettivo importante nel trattamento del Disturbo da Dismorfismo Corporeo.
La letteratura non fornisce indicazioni univoche circa l’eziologia del Disturbo da Dimorfismo Corporeo, tuttavia, nel DSM-5, i fattori ambientali come alti tassi di trascuratezza e abusi durante l’infanzia sono contemplati come fattori di rischio che potrebbero facilitare l’insorgenza del disturbo (APA, 2013).
Inoltre, si evidenzia una maggiore predisposizione per i bambini di genitori con Disturbo Ossessivo Compulsivo di sviluppare la Dismorfofobia (APA, 2013).

L’ipocondriaco, il malato immaginario

Il pensiero è diventato nell’essere umano una formidabile arma di controllo dell’ambiente per mezzo della quale egli si è impadronito del pianeta, perché mediante il pensiero l’essere umano è diventato capace di risolvere i problemi ambientali.
Le azioni simulate dal pensiero, infatti, possono essere non soltanto semplicemente consolatorie nei confronti di condizioni ambientali negative, ma anche atte a eliminare quelle stesse condizioni ambientali negative che hanno attivato il pensiero e che costituiscono un problema.
Se sei chiuso in una trappola, il pensiero può aiutarti ad uscirne.
Questo è diventato il pensiero nell’essere umano: un sistema di problem solving, un sistema capace di risolvere i problemi ambientali attraverso la simulazione delle azioni atte alla loro soluzione.
A patto però che le azioni pensate vengano attuate, cioè che le azioni da simulate divengano reali e quindi che il pensiero dia luogo all’azione: questa elimina le condizioni ambientali negative e scarica la tensione ristabilendo l’equilibrio omeostatico, cioè lo stato di benessere.
Il pensiero che dà luogo all’azione capace di eliminare le condizioni ambientali negative assolve dunque pienamente alla sua funzione di difesa dalle aggressioni ambientali.
Ma esso è un pensiero attinente alla realtà.
Ma quante volte tu traduci il tuo pensiero in azione? Quante volte tu usi il tuo pensiero per risolvere problemi reali utilizzando la sua funzione più evoluta?
Quante volte invece ti immagini azioni che non sei stato o non sei in grado di compiere?
Quante volte utilizzi la funzione più primitiva del pensiero semplicemente per contenere la tensione generata dai problemi reali non risolti con l’azione?
Tu puoi facilmente constatare che la maggior parte del tuo pensiero è rivolto ad assolvere la sua funzione primitiva di contenimento della tensione simulando azioni immaginarie sostitutive delle azioni reali non compiute, piuttosto che a risolvere, con l’azione reale, problemi reali.
E che dire di quando l’azione simulata dal tuo pensiero non può essere attuata o di quando non è in grado di eliminare le aggressioni ambientali neppure sul piano dell’immaginazione?
In questi casi la tua tensione non soltanto non diminuisce, ma addirittura aumenta, in quanto il diminuire della tua capacità di difesa aumenta il grado di pericolosità da te attribuito alle aggressioni ambientali e quindi la tua reazione tensiva, ossia la tua sofferenza.
Da sistema di difesa della tensione, il pensiero si trasforma in questo caso in un sistema di incremento della tensione, cioè della sofferenza, e quindi in un processo autolesivo.
Il pensiero che genera sofferenza è una sega mentale malefica.
Il massimo della sega mentale malefica si ha quando il problema alla cui soluzione si applica il tuo pensiero non è un problema reale, ma soltanto un problema inventato dal tuo stesso pensiero, cioè un problema immaginario.
Come può avvenire che il pensiero, inventato per risolvere o alleviare i problemi reali, diventi invece il creatore di problemi immaginari?
In realtà il problema immaginario non può essere risolto.
Infatti non esiste soluzione reale del problema immaginario per il semplice fatto che il problema immaginario non è reale.
La tensione causata da un problema immaginario, quindi, non può essere eliminata.
Anzi lo stesso problema immaginario diventa fonte di tensione.
Da sistema di difesa della tensione, il pensiero si trasforma quindi, nel caso di problemi immaginari, in un sistema di incremento della tensione e quindi in un processo autolesivo che si protrae nel tempo e si accresce indefinitamente in quanto si autoalimenta.
Tutto questo si rispecchia nella definizione di nevrosi ipocondriaca.
Il paziente ipocondriaco è colui che continua a male interpretare alcune sensazioni corporee nonostante abbia ricevuto rassicurazioni mediche pertinenti, valide e ben fondate e nonostante abbia le capacità intellettive per poter compiere le inferenze opportune da tali informazioni ed è proprio per questo che l’ipocondriaco viene anche definito “malato immaginario”.
In questi casi l’intervento di uno psicoterapeuta preparato può aiutare in quanto l’illusione di non avere bisogno di un aiuto esterno fa parte del quadro nevrotico, divenuto, assetto autolesivo.
Mi piace concludere l’articolo riportando alcune citazioni simpatiche dell’autore:
“Ma allora, mi dirai, bisogna smettere di pensare? Ebbene, ti devo confessare che non sarebbe male, smettere di pensare, e ti devo anche confidare che è bellissimo.
Tuttavia è sufficiente usare il pensiero soltanto in quelle poche occasioni in cui serve davvero a salvarci e a stare meglio: non poi così spesso come si crede”.

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Riferimenti bibliografici

  • “Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita”, di Giulio Cesare Giacobbe, Casa Editrice Ponte alle Grazie, 2004.

Gli attacchi di panico, come affrontarli

Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) l’attacco di panico corrisponde ad un periodo preciso di paura e disagio intensi, durante il quale una serie di sintomi si sviluppa improvvisamente:

  1. palpitazioni o tachicardia,
  2. sudorazione,
  3. tremori fini o a grandi scosse,
  4. dispnea o sensazioni di soffocamento,
  5. sensazioni di asfissia,
  6. dolore o fastidio al petto,
  7. nausea o disturbi addominali,
  8. sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento,
  9. derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi),
  10. paura di perdere il controllo o di impazzire,
  11. paura di morire,
  12. parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio),
  13. brividi o vampate di calore.

Un’esperienza di attacchi di panico ha peculiarità uniche, come unica è la storia dell’individuo, ma è possibile delineare alcune caratteristiche più comuni: in primo luogo, l’attacco di panico ha una durata relativamente breve, da pochi minuti fino a poco più di mezzora, che può sembrare però un’eternità.

La persona colpita sente il panico come una sensazione estranea al proprio vissuto in quel momento, una sensazione incontrollabile che costringe ad interrompere ciò che si sta facendo in quanto i sintomi fisici richiamano la totale attenzione.

L’età di esordio è solitamente tra i 15 e i 35 anni; la frequenza e la gravità degli attacchi varia moltissimo da individuo a individuo: alcuni sperimentano attacchi di panico ogni settimana, oppure mensilmente, mentre altri riferiscono periodi in cui gli attacchi sono più frequenti intervallati a mesi senza che si verifichi un vero e proprio attacco, ma magari solo uno stato di ansia piuttosto controllabile.

La ricerca di aiuto è di solito immediata e con tutti i caratteri dell’urgenza medica; l’attacco di panico è sentito come primariamente corporeo e dunque ci si rivolge al Pronto Soccorso pensando di avere un principio di infarto, o una compromissione dell’apparato respiratorio o una crisi acuta di un’altra malattia organica.

Quando però gli esami diagnostici e le visite mediche non riscontrano alcuna patologia fisica, il paziente prova spesso uno stato di terribile incertezza e non si sente affatto rassicurato.

Il panico è descritto da sintomi fisici concreti, il terrore è collocato dentro il proprio corpo, il pericolo è identificato all’interno di se stessi e il proprio mondo interno sembra rivelarsi un luogo sconosciuto, contenitore di sensazioni sconvolgenti a cui non si può sfuggire.

L’ansia e il panico sono sintomi di disagio psicologico in cui più si avverte la dimensione corporea, biologica: si percepisce aumento della frequenza cardiaca, difficoltà di respirazione, vertigini, nausea, tremori, sudorazione, vampate di calore, senso di freddo improvviso agli arti o sensazione di torpore, dolori al torace, fitte al cuore etc.

Queste manifestazioni somatiche dell’ansia trovano una parziale spiegazione nel meccanismo di attivazione naturale del corpo in situazioni stressanti; le nostre emozioni si correlano ad un’ampia serie di ormoni cerebrali (come la dopamina, la noradrenalina, le endorfine) e gli eventi esterni hanno la capacità di modificare l’equilibrio neuroendocrino (per esempio un evento piacevole può stimolare la produzione di endorfine, l’attività fisica e sportiva può avere un effetto eccitatorio ecc), ma la risposta agli stessi eventi è differenziata da individuo a individuo, in rapporto sia alla struttura fisica, che all’influenza delle esperienze precedenti.

Si possono considerare stressanti tutti gli eventi che comportano un cambiamento nella nostra vita, specialmente se improvviso.

Pur essendo stato riconosciuto un substrato biologico che sottende il panico, la modalità di cura più adatta per questo disturbo è l’intervento integrato che unisce la terapia farmacologica, utile nel momento di presa in carico e gestione di emergenza, con la terapia psicologica, al fine di chiarire le cause che hanno determinato questo disagio ed attivare un processo di reale cambiamento.

Lo scopo della farmacoterapia è ridurre i sintomi o eliminarli; la scelta di intraprendere un trattamento psicologico nasce invece dalla constatazione che nella maggioranza dei casi talune situazioni come la perdita o rottura di importanti relazioni personali sono associate con il disturbo di panico e che gli studi suggeriscono certamente delle influenze psicologiche (Gabbard, 1995).

Cos’è l’ansia? Come si manifesta?

L’ANSIA E I SUOI SIGNIFICATI

L’ansia è espressione di un conflitto interno che è importante indagare per poi rielaborarlo. È una forma di paura, un campanello d’allarme lanciato dall’Io che avverte un pericolo che va individuato. In questi disturbi in genere le aree di funzionamento generale della persona sono prevalentemente conservate o compromesse in modo circoscritto. L’’Io continua a svolgere le sue funzioni anche se con disagio e difficoltà. Il rapporto con la realtà appare quindi mantenuto.
L’aspetto centrale da esplorare riguarda il conflitto e le pulsioni sottostanti la sintomatologia ansiosa. È importante sapere da quanto tempo si è presentato il disturbo, quali sono state le circostanze di insorgenza del sintomo e su quali tematiche verte principalmente l’eccessiva preoccupazione del soggetto. A questo proposito può essere d’aiuto raccogliere informazioni sui momenti della giornata (per esempio mattina presto prima di andare a lavoro) e circostanze in cui la sintomatologia diviene più acuta.
L’ansia è in genere un segnale di pericolo e quindi è opportuno indagare quali sono gli aspetti del Sé che la persona teme possano essere minacciati e da cosa sta cercando faticosamente di proteggersi. Per accertare il livello di gravità del disturbo e le risorse della persona è utile conoscere il livello di compromissione delle aree di funzionalità generale, gli stili difensivi messi in atto e la percezione di sé.
L’ansia è uno stato d’inquietudine, di attesa affannosa, di pericolo imminente e indefinibile vissuto come un fenomeno primario, globale e irriflessivo. L’ansia si associa inoltre ad un sentimento di incertezza e impotenza. Mentre la paura è una risposta emozionale a una minaccia reale (e che viene riconosciuta come tale dall’individuo), l’ansia è priva di un oggetto scatenante o meglio questo non viene chiaramente riconosciuto dall’individuo. All’esperienza emozionale soggettiva dell’ansia si associa un corteo di sintomi neurovegetativi (tachicardia, ipertensione, tachipnea, midriasi, sudorazione,tremori, turbe degli apparati digerente, genito-urinario, ecc.) che vengono comunemente considerati come elementi secondari alla turba affettiva, ma che si ripercuotono sul vissuto emozionale esacerbandolo.
Si distinguono le crisi d’angoscia, dette anche ansia acuta, da un’ansia definita cronica.

CRISI DI ANGOSCIA (ANSIA ACUTA / ATTACCHI DI PANICO)

Si manifestano acutamente con un sentimento penoso di attesa di qualche cosa di profondamente sgradevole o dannoso, vissuto in una condizione di impotenza. Questo sentimento è accompagnato da disturbi vegeto-emotivi (palpitazioni, difficoltà respiratorie, pallore, midriasi, ecc..) e da disorganizzazione comportamentale. L’ansia acuta può avere una diversa intensità e durata: si possono osservare brevi episodi caratterizzati da un improvviso emergere di emozioni spiacevoli che il paziente riesce a dominare, ed episodi, che si protraggono per ore, durante i quali il soggetto vive uno stato di continua, intensa dolorosa angoscia punteggiata da esacerbazioni di panico e di terrore.
L’angoscia è descritta come una pena misteriosa, terribile e spaventosa; un sentimento di imminente catastrofe fatto di inquietudine, scoramento, disperazione e terrore. Concomita il sentimento di morte imminente per un attacco cardiaco o la paura di svenire; il timore di essere visto in questo stato di malattia e di incapacità accentua lo stato di pena. L’ansia comporta inoltre una spinta impellente a fare qualcosa, a correre, urlare, scappare.
Lo stato affettivo spiacevole si associa ad una serie di disturbi somatici. In primo piano sono i disturbi cardiaci: tachicardia con senso di vuoto nel petto, dolori acuti in sede precordiale, all’apice del cuore o nel quadrante superiore sinistro del torace con irradiazione all’ascella ed al braccio sinistro. Frequenti sono i disturbi respiratori caratterizzati da sensazione di non immettere sufficiente aria nei polmoni (respiro che si arresta, che non si completa: “respiro interciso”) e dall’aumento della frequenza e profondità della respirazione.
Altri sintomi somatici di frequente riscontro sono quelli a carico del disturbo digerente (secchezza della bocca, bolo esofageo, spasmi gastrici e intestinali, nausea, vomito, diarrea, tenesmo rettale), delle vie urinarie (poliuria, pollachiuria, tenesmo vescicale), dell’apparato neuromuscolare (tremore, spasmi, fibrillazioni), degli organi sensitivo-sensoriali (ronzii auricolari, mosche volanti, visione offuscata, ecc.).
Lo stato di ansia acuta disorganizza il comportamento e compromette le funzioni cognitivo-volitive e le capacità prestazionali: il soggetto non può concettualizzare ed agire in modo corretto ed adeguato. La frequenza ed il numero degli attacchi d’ansia variano notevolmente da caso a caso.
Alcuni individui possono presentare solo sporadici episodi in concomitanza con definite situazioni conflittuali; mentre altri possono avere periodi di giorni, settimane o mesi durante i quali gli attacchi si manifestano con notevole frequenza e intensità.

ANSIA CRONICA

Gli attacchi di ansia acuta si presentano talora senza alcun segno premonitore in soggetti in apparenza tranquilli, ma il più spesso emergono da un fondo di ansia cronica. Molti soggetti invece vivono in uno stato continuo di ansia senza andare incontro ad esplosioni acute.
Nello stato permanente di ansia i disordini psichici e i disturbi vegetativi sono quantitativamente minori pur conservando la stessa qualità della crisi d’ansia: l’attesa di un danno, la prospettiva peggiorativa dell’esistenza, i sentimenti di inquietudine, sono vissuti con una tonalità minore e l’esperienza di angoscia si trasforma nella tematica della perplessità, dell’insicurezza, del timore, del dubbio, dell’incapacità ad assumere qualsiasi decisione.
Talora i pazienti non sono capaci di riferire la causa della loro ansia, molti tuttavia riconducono il loro stato a definiti problemi per lo più familiari o di lavoro.
Le manifestazioni cliniche dell’ansia cronica sono polimorfe. Il soggetto esperisce uno stato di nervosismo e di tensione pressoché continuo; è iperestesico ed irritabile e reagisce con manifestazioni emotive esagerate a qualsiasi stimolazione sensoriale od emotiva.
Riferisce disturbi del sonno sotto forma di difficoltà di addormentamento, di interruzione della sua continuità o di risveglio nelle prime ore del mattino (polo mattutino dell’angoscia). Più di rado è il sonno eccessivo. Frequenti sono le condotte alimentari improprie (eccessiva assunzione di alimenti o viceversa diminuzione) e le sensazioni di astenia. Concomitano numerose somatizzazioni dell’ansia, in particolare a carico dell’apparato gastro-intestinale (sensazioni di farfalle nello stomaco, di bruciore, di ripienezza gastrica, diarrea, ecc.).
Un sintomo frequente è la cefalea descritta come un senso di peso e di tensione occipitale o frontale, o di dolore pulsante in sede frontale. Il paziente può lamentare inoltre tensione o dolori muscolari, in particolare al collo e alla schiena, sudorazioni e sensazioni di caldo e di rossore al viso, secchezza della bocca, disturbi sessuali (impotenza e frigidità).
Sul piano psicologico si riscontrano difficoltà di concentrazione e di concettualizzazione e labilità mnemonica. La psiconevrosi ansiosa può portare ad una rilevante compromissione dei livelli prestazionali e dell’integrazione sociale del soggetto.

Concludendo l’ansia è la manifestazione emergente di conflitti psicologici più o meno consapevoli.
La psicoterapia può aiutare la persona ad individuare le cause dell’ansia, indagandone i conflitti connessi e mettendoli al controllo della coscienza. Una volta divenuti consapevoli delle proprie “paure” ci si può preparare ad affrontarle in maniera più costruttiva.

I disturbi dissociativi

La caratteristica clinica fondamentale delle sindromi che il DSM elenca nella categoria dei disturbi dissociativi è la perdita della continuità dell’esperienza soggettiva.
L’esperienza cosciente di sé è interrotta da ampie lacune amnesiche, da stati alterati di coscienza o di bruschi cambiamenti di condotta, di cui a posteriori il paziente ricorda poco o nulla.

Talora è conservata una certa continuità di memoria attraverso l’alternarsi rapido di condotte, impulsi e pensieri fra loro inconciliabili. A causa di tale alternanza, il paziente ha l’impressione che il fondamentale senso di continuità e unità del sé è minacciato o perduto.

Il caso più clamoroso di discontinuità della propria esperienza soggettiva e/o nella capacità di ricordarla e narrarla è rappresentato dal disturbo di personalità multiplo.
Nel DPM la continuità dell’esperienza cosciente è interrotta dall’emergere periodico di un’altra personalità che si impegna in azioni, pensieri e reminiscenze in cui il paziente ricorderà poco o nulla quando la personalità primaria riacquista il controllo.

Meno eclatante ma altrettanto evidente è la discontinuità dell’esperienza soggettiva che si verifica nella fuga psicogena.
Nella fuga psicogena la continuità della coscienza è interrotta da un improvviso e immotivato allontanamento dal proprio ambiente abituale di vita, durante il quale il paziente assume una nuova identità dimenticando la precedente.

Nell’amnesia psicogena un periodo della propria vita, troppo lungo perché si possa trattare di un’ordinaria dimenticanza, diventa impossibile da rievocare.

Nel disturbo da depersonalizzazione la discontinuità della coscienza e della memoria è incipiente o minacciata piuttosto che attuale. Il paziente ha l’impressione di essere completamente estraneo a sé stesso e all’ambiente che lo circonda.

La teoria sull’etiopatogenesi dei disturbi dissociativi vede susseguirsi la seguente sequenza di eventi patogeni e di reazioni ad essi:

  • un’esperienza precoce di attaccamento disorganizzato con almeno uno dei genitori;
  • la costituzione precoce, nel bambino, di modelli cognitivi multipli del sé come conseguenza di tale esperienza di attaccamento;
  • la predisposizione alla dissociazione della coscienza e della memoria come conseguenza di tale molteplicità di rappresentazioni di sé;
  • l’uso più facile della dissociazione come meccanismo di difesa di fronte a traumi
  • il susseguirsi di episodi di maltrattamento o violenza negli anni di formazione della personalità;
  • il riemergere in età adulta, della tendenza ad usare la dissociazione come strategia difensiva di fronte a difficoltà nella vita di relazione.

L’affidarsi ad un terapeuta che prenda in carico il paziente e la sua storia, “abbracciando” la complessità del problema, diviene di fondamentale importanza nel trattamento di questi disturbi.

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Bibliografia

  • “La discontinuità della coscienza, etologia, diagnosi e psicoterapia dei disturbi dissociativi”, a cura di Giovanni Liotti, ed. Franco Angeli, 1993.

I disturbi di personalità

Il presente articolo è un’esposizione dei principali criteri contenuti nel DSM- IV per la classificazione dei disturbi di personalità.
I disturbi sono raccolti in tre gruppi, denominati con le lettere A, B, C.

Il GRUPPO A include i disturbi definiti “strani” o “eccentrici”, il GRUPPO B cosiddetto “drammatico” ed infine il GRUPPO C che include i disturbi “ansiosi”.

È importante precisare che la maggior parte dei pazienti non soddisfa la totalità dei criteri di un determinato disturbo, piuttosto manifesta una combinazione dei tratti patologici dei disturbi di personalità inclusi nel DSM-IV.

GRUPPO A

Criteri diagnostici per il disturbo paranoide di personalità

Diffidenza e sospettosità pervasive nei confronti degli altri, che iniziano nella prima età adulta e sono presenti in una varietà di contesti come indicato da quattro (o più) dei seguenti elementi:

  • Sospetta, senza una base ragionevole, di essere sfruttato, danneggiato o ingannato;
  • Dubita senza giustificazione della lealtà o affidabilità di amici o colleghi;
  • È riluttante a confidarsi con gli altri a causa di un timore ingiustificato che le informazioni possono essere usate contro di lui;
  • Scorge significati nascosti umilianti o minacciosi in rimproveri o altri eventi benevoli;
  • Porta costantemente rancore, cioè non perdona le critiche, le ingiurie o le offese;
  • Percepisce attacchi al proprio ruolo o reputazione non evidenti agli altri, ed è pronto a reagire con rabbia o contrattaccare;
  • Sospetta in modo ricorrente, senza giustificazione, della fedeltà del coniuge o del partner.

Disturbo schizoide di personalità

Una modalità pervasiva di diffidenza verso le relazioni sociali e una gamma ristretta di espressioni emotive, in contesti interpersonali, che iniziano nella prima età adulta e sono presenti in una varietà di contesti, come indicato da quattro o più dei seguenti elementi:

  • Non desidera nè prova piacere nelle relazioni strette, incluso il far parte di una famiglia;
  • Quasi sempre sceglie attività solitarie;
  • Dimostra poco o nessun interesse per le esperienze sessuali con un’altra persona;
  • Prova piacere in poche o nessuna attività;
  • Non ha amici stretti o confidenti, eccetto i parenti di primo grado;
  • Sembra indifferente alle lodi e alle critiche degli altri;
  • Mostra freddezza emotiva, distacco e affettività appiattita.

Disturbo schizotipico di personalità

Una modalità pervasiva di relazioni sociali e interpersonali deficitaria, evidenziate da disagio acuto e ridotta capacità riguardanti le relazioni strette e da distorsioni cognitive e percettive ed eccentricità del comportamento, che compaiono nella prima età adulta e sono presenti in una varietà di contesti.

  • Idee di riferimento;
  • Credenze strane o pensiero magico;
  • Esperienze percettive insolite, incluse illusioni corporee;
  • Pensiero e linguaggio strani (ad esempio vago, circostanziato, iperelaborato o stereotipato);
  • Sospettosità e ideazione paranoide;
  • Affettività inappropriata o coartata;
  • Comportamento o aspetto strani, eccentrici o peculiari;
  • Nessun amico stretto o confidente, eccetto i parenti di primo grado;
  • Eccessiva ansia sociale.

GRUPPO B

Disturbo antisociale di personalità

Un quadro pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri, che si manifesta fin dall’età di 15 anni, come indicato da tre o più dei seguenti elementi:

  • Incapacità di conformarsi alle norme sociali per ciò che concerne il comportamento legale, come indicato dal ripetersi di condotte suscettibili di arresto;
  • Disonestà, come indicato dal mentire, usare falsi nomi, o truffare gli altri ripetutamente, per profitto o per piacere personale;
  • Incapacità di pianificare o impulsività;
  • Irritabilità o aggressività, come indicato da scontri o assalti fisici ripetuti;
  • Inosservanza spericolata della sicurezza propria e degli altri;
  • Irresponsabilità abituale, come indicato dalla ripetuta incapacità di sostenere un’attività lavorativa continuativa, o di far fronte a obblighi finanziari;
  • Mancanza di rimorso.

Disturbo borderline di personalità

Una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sè e dell’umore e una marcata impulsività, comprese nella prima età adulta e presenti in vari contesti, come indicato da uno o più dei seguenti elementi:

  • Sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono;
  • Un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione;
  • Alterazione dell’identità: immagine di sè e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili;
  • Impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto, quali spendere, sesso, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate;
  • Ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari o comportamento automutilante;
  • Instabilità affettiva dovuta a marcata reattività dell’umore;
  • Sentimenti cronici di vuoto;
  • Rabbia immotivata e intensa difficoltà a controllare la rabbia.

Disturbo narcisistico di personalità

Un quadro pervasiveo di grandiosità, necessità di ammirazione e mancanza di empatia, che compare entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti, come indicato da cinque o più dei seguenti elementi:

  • Ha un senso grandioso di importanza;
  • È assorbito da fantasie di illimitato successo, potere, fascino, bellezza e di amore ideale;
  • Crede di essere speciale e unico e di dover frequentare e poter essere capito solo da persone speciali o di classe elevata;
  • Richiede eccessiva ammirazione;
  • Ha la sensazione che tutto gli sia dovuto;
  • Sfruttamento interpersonale, cioè si approfitta degli altri per i propri scopi;
  • Manca di empatia: è incapace di riconoscere o di identificarsi con i sentimenti e le necessità degli altri;
  • Ė spesso invidioso degli altri o crede che gli altri lo invidino;
  • Mostra atteggiamenti o comportamenti arroganti e presuntuosi.

Disturbo istrionico di personalità

Un quadro pervasivo di emotività eccessiva e di ricerca di attenzione, che compare entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti, come indicato da cinque o più dei seguenti elementi:

  • È a disagio in situazioni nelle quali non è al centro dell’attenzione;
  • L’interazione con gli altri è spesso caratterizzata da comportamento sessualmente seducente o provocante;
  • Costantemente utilizza l’aspetto fisico per attirare l’attenzione su di sè;
  • Lo stile dell’eloquio è eccessivamente impressionistico e privo di dettagli;
  • Mostra autodrammatizzazione, teatralità ed espressione esagerata delle emozioni;
  • È suggestionabile, cioè facilmente influenzato dagli altri e dalle circostanze;
  • Considera le relazioni più intime di quanto non lo siano realmente.

GRUPPO C

Il GRUPPO C, definito “ansioso” include i distubi evitante, dipendente e ossessivo-compulsivo, accomunatiappunto da livelli elevati di ansia.

Disturbo evitante di personalità

Un quadro pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità al giudizio negativo, che compare entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti, come indicato da quattro (o più) dei seguenti elementi:

  • Evita attività lavorative che implicano un significativo contatto interpersonale, perché teme di essere criticato, disapprovato o rifiutato;
  • È riluttante nell’entrare in relazione con persone, a meno che non sia certo di piacere;
  • È inibito nelle relazioni intime per il timore di essere umiliato o ridicolizzato;
  • Si preoccupa di essere criticato o rifiutato in situazioni sociali;
  • È inibito in situazioni interpersonali nuove per sentimenti di inadeguatezza;
  • Si vede come socialmente inetto, personalmente non attraente o inferiore agli altri;
  • È insolitamente riluttante ad assumere rischi personali o a impegnarsi in qualsiasi nuova attività, poiché questo può rivelarsi imbarazzante.

Disturbo dipendente di personalità

Una situazione pervasiva ed eccessiva di necessità di essere accuditi, che determina comportamento sottomesso e dipendente e timore della separazione, che compare nella prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:

  • Ha difficoltà a prendere le decisioni quotidiane senza richiedere una eccessiva quantità di consigli e rassicurazioni;
  • Ha bisogno che altri si assumano la responsabilità per la maggior parte degli accadimento della sua vita;
  • Ha difficoltà ad esprimere disaccordo verso gli altri per il timore di perdere supporto o approvazione;
  • Ha difficoltà a iniziare progetti o a fare cose autonomamente;
  • Può giungere a qualsiasi cosa pur di ottenere accudimento e supporto da altri, fino al punto di offrirsi per compiti spiacevoli;
  • Si sente a disagio o indifeso, ma si tratta soltanto di timori esagerati di essere incapace di provvedere a se stesso;
  • Quando termina una relazione stretta, ricerca urgentemente un’altra relazione come fonte di accudimento e supporto;
  • Si preoccupa in modo non realistico di essere lasciato a provvedere a se stesso.

Disturbo ossessivo–compulsivo di personalità

Un quadro pervasivo di preoccupazione per l’ordine, perfezionismo e controllo mentale e interpersonale, a spese di flessibilità, disponibilità ed efficienza, che compare entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti come indicato da quattro (o più)dei seguenti elementi:

  • Attenzione per i dettagli, le regole, le liste, l’ordine, l’organizzazione o gli schemi, al punto che va perduto lo scopo principale dell’attività;
  • Mostra un perfezionismo che interferisce con l’assorbimento dei compiti;
  • Eccessiva dedizione al lavoro e alla produttività, fino all’esclusione delle attività di svago e delle amicizie;
  • Esageratamente coscienzioso, scrupoloso, inflessibile in tema di moralità, etica e valori;
  • È incapace di gettare via oggetti consumati o di nessun valore, anche quando non hanno alcun significato affettivo;
  • È riluttante a delegare compiti o a lavorare con altri, a meno che non si sottomettano esattamente al suo modo di fare le cose;
  • Adotta una modalità di spesa improntata all’avarizia, sia per sé che per gli altri; il denaro è visto come una cosa da accumulare in vista di catastrofi future;
  • Manifesta rigidità e testardaggine.
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Bibliografia

  • “I disturbi di personalità” di Paul M.G Emmelkamp e Jan Henk Kamphuis, ed il Mulino, 2007.