Ragazzi violenti

Uno dei problemi centrali dei comportamenti violenti riguarda la comprensione del rapporto fra fattori costituzionali (endogeni) e fattori sociofamiliari (esogeni) nella loro determinazione.

Tenendo presente che nessuno di questi fattori può essere ritenuto causale se considerato in modo isolato, è possibile proporre un modello bidirezionale che considera una costante interazione tra le due classi di fattori. Secondo questo modello, il comportamento violento emerge come prodotto finale di una continua e reciproca interazione tra comportamento del bambino, effetti di tale comportamento sugli atteggiamenti dei genitori, tipo di personalità dei genitori e suoi effetti sulle modalità di accudimento del bambino. Tale modello descrive una costruzione progressiva sia del comportamento patologico del ragazzo che delle difficoltà dei genitori, all’interno di una visione che supera il punto di vista tradizionale e che affronta la natura dei comportamenti violenti da due prospettive separate: quella del deficit costituzionale interno al ragazzo e quella delle circostanze ambientali difettose.

Secondo questo modello bidirezionale soggetto e ambiente si influenzano reciprocamente in modo continuo nel corso dello sviluppo, andando a definire relazioni che servono poi da modello e tendono ad essere ripetute in ogni relazione successiva.

Nei ragazzi violenti è molto facile che un temperamento predisponente si associ ad un comportamento genitoriale coercitivo, ruvido o incoerente, che trasforma il tratto temperamentale in un disturbo stabile caratterizzato dal difetto di autocontrollo interno, dalla difficoltà a concepire le relazioni come stati mentali reciproci e dalla facilità ad assumere comportamenti violenti.

Il modello bidirezionale trova diverse assonanze con la descrizione degli antecedenti psicopatologici presenti in ragazzi che mettono in atto comportamenti violenti durante l’adolescenza.

Nella storia precoce di questi adolescenti violenti è infatti quasi sempre possibile rintracciare situazioni di carenza o di insoddisfazione che li imprigionato in relazioni povere che lasciano senza limite la loro sensazione di onnipotenza. Spesso nelle loro famiglie è mancata la funzione, abitualmente svolta dal padre, di chi riesce a dare regole e limiti a tale sensazione di onnipotenza ; altre volte, anche se fisicamente presente, il padre, a causa di problemi personali o a causa di un ruolo marginale datogli dalla moglie, non è in grado di svolgere il suo ruolo di autorità capace di dare limiti.

A partire da ciò, durante l’adolescenza si viene a creare una situazione nuova in quanto, a causa della sensazione di paura e di solitudine vissuta nella separazione da figure genitoriali non soddisfacenti, il bisogno di differenziazione e di indipendenza tipico di quest’età non può essere soddisfatto.

La violenza allora diviene il tentativo estremo per differenziarsi e assume il senso di un’azione che dà all’adolescente quella sensazione di forza, di autoaffermazione e di esistenza di cui ha estremo bisogno.

Il comportamento violento sottende quindi un disturbo di funzionamento mentale per cui l’attività simbolica, che abitualmente contribuisce a creare legami stabili tra pensieri, sentimenti, e emozioni ed azioni, viene rimpiazzata da una tendenza ad agire i propri stati d’animo, permettendo all’ adolescente di fuggire dal contatto con i vissuti depressivi suscitati dalle fragili relazioni precoci.

Perciò le azioni violente vengono sentite da questi adolescenti come qualcosa che dona un beneficio immediato, che calma le tensioni interne, che fornisce quella sensazione di potenza di cui ha così bisogno.

Il legame tra violenza e senso di potenza è d’altronde sottlineato dal significato etimologico della parola violenza, che trae la propria origine dalla parola latina vis, che significa appunto forza, potenza.

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Bibliografia

  • “Ragazzi violenti” di Filippo Muratori, ed. Il Mulino, 2005.

L’Autostima

Nel senso comune spesso si crede erroneamente che le persone che hanno una buona autostima siano quelle che si mostrano forti, molto competenti e/o con tante abilità.
In questo modo più ci si sente bravi e competenti a fare una cosa, più l’autostima dovrebbe rafforzarsi.
Non è così! Difatti a rafforzarsi sarà il senso di autoefficacia, non l’autostima!
L’autostima è la capacità di essere trasparenti, perspicui, di non identificarsi né con le proprie convinzioni, né con ciò che le altre persone dicono di noi.
E’ la capacità di mettersi da parte e di sentirsi liberi, indipendenti e autonomi nei confronti dell’approvazione altrui.
L’autostima nasce dalla consapevolezza di essere persone uniche, irripetibili e quindi speciali.
Nasce dall’essere e non dal fare.
In realtà raggiungere l’autostima non significa sentirsi superiori alle altre persone, chi raggiunge l’autostima non si lascerà scalfire da nessuna offesa.
Comprendere perché ci comportiamo in modo da essere sempre sconfitti, non ci aiuterà a smettere di farlo.
E’ necessario agire e per questo dobbiamo agire in modo diverso da come abbiamo sempre fatto.

“Quando non ho avuto più niente da perdere, ho ottenuto tutto.
Quando ho cessato di essere chi ero, ho ritrovato me stesso.
Quando ho conosciuto l’umiliazione ma ho continuato a camminare, ho capito che ero libero di scegliere il mio destino”. – Paulo Coelho

Accettarsi non significa rassegnarsi o sentirsi impotenti.
Al contrario accettare vuol dire non combattere e non lottare contro se stessi. Significa essere consapevoli che non abbiamo nemici e che quindi non c’è nessuno da sconfiggere.
Vuol dire affrontare le nostre paure e le nostre paranoie mettendole, ogni giorno, in discussione.
L’accettazione nasce da una soddisfazione profonda.
La raggiungiamo quando in profondità non diciamo più di no e tutto il nostro essere diviene soddisfazione.
Non lottiamo più, non ci opponiamo più a nulla, accettiamo ogni cosa del nostro essere ed oltre a imparare ad accettare noi stessi, dobbiamo anche imparare ad accettare la realtà.

“Non siete quello che pensate o sentite di essere.
Siete tutto cio’ che potete diventare”.
– Owen Fitzpatrick

Bisogna prendersi tutto il tempo che serve e ricordare sempre che, come dice Lao Tzu “Invece di maledire il buio, è meglio accendere una candela”.
E la candela illuminerà la strada verso il raggiungimento dell’autostima.

Ho ripreso alcuni dei tanti passaggi del libro dello psicologo Fabio Gherardelli, quelli che hanno attirato maggiormente la mia attenzione e che per me sono significativi.
L’autostima, il benessere, quella pace che sembrano quasi impossibili da ottenere, ma che in realtà attraverso un viaggio interiore possiamo raggiungere, liberandoci da tutte quelle paure e insicurezze che offuscano la nostra esistenza.

La fobia scolare

Il termine “fobia scolare” viene comunemente utilizzato per descrivere una sindrome nella quale il sintomo preponderante è una forte paura o angoscia legata all’idea di andare a scuola. Il forte disagio emotivo percepito dal bambino è spesso associato a manifestazioni comportamentali, cognitive, e fisiologiche.

I sintomi possono iniziare in seguito ad eventi di vita stressanti che si sono verificati a casa o a scuola, tra cui:

  • la propria malattia o di un membro della famiglia,
  • la separazione tra i genitori, la separazione transitoria da uno dei genitori,
  • relazioni conflittuali nella famiglia,
  • un legame disadattivo con uno dei genitori,
  • problemi con il gruppo dei pari o con un insegnante,
  • il ritorno a scuola dopo una lunga interruzione o vacanza.

Il disturbo si caratterizza per sintomi somatici (vertigini, mal di testa, tremori, palpitazioni, dolori al torace, dolori addominali, nausea, vomito, diarrea, dolori alle spalle, dolori agli arti).
Il livello di angoscia può essere elevato fin dalla sera prima e il bambino può riposare male, il sonno può essere disturbato da incubi o risvegli notturni.

Fuori il ragazzo si sente inadeguato e incapace di fronteggiare la situazione, pensa di non poter tollerare il giudizio, la valutazione o il confronto con gli altri, ritiene le richieste scolastiche eccessive e adotta comportamenti di evitamento o di fuga.

Il dialogo con un esperto può aiutare il ragazzino ad esternare le proprie paure individuando le fonti del suo disagio, per cercare insieme nuove modalità e strategie utili a fronteggiare le situazioni che lo spaventano.

Emozioni e adolescenza

È ormai opinione comune che l’essere umano prende coscienza delle cose intorno a sé non solo attraverso la razionalità ma anche e soprattutto attraverso l’intuizione emozionale. Tale contatto, ovvero quello legato ad emozioni e sentimenti, ci permette di conoscere cosa ci sia nel cuore e nell’immaginazione degli “altri-da-noi”.

Le emozioni, pur essendo molteplici presentano un elemento comune rappresentato dalla capacità di portarci fuori dai confini del nostro io, mettendoci in contatto con il mondo delle cose e delle persone. Essendo inoltre fortemente contrassegnate dalla trascendenza come orizzonte di conoscenza, la misura dell’intenzionalità in questo processo di continua relazione con gli altri è soggetta a diversi cambiamenti per ogni condizione emozionale. A tal proposito possiamo infatti parlare di:

  • emozioni nelle quali la vita interiore di ciascun individuo è riempita di gioia, o di letizia, di tristezza, o di malinconia, pur essendo caratterizzate da uno scarso slancio intenzionale verso gli altri-da-noi e verso il mondo delle cose. Tali emozioni vengono generalmente chiamate stati d’animo;
  • emozioni come esperienze radicalmente indirizzate al mondo degli altri e delle cose e che di tale relazione si nutrono, contraddistinte inoltre da una forte intenzionalità. Tra queste vanno citate “amore, nostalgia, vergogna, ansia, timidezza, odio, ecc”.

Ci sono delle emozioni che si trasformano nel corso della vita mentre ce ne sono altre che rimangono intatte e significative nel corso della vita.

L’adolescenza è sicuramente l’età in cui le emozioni esplodono in modo significativo ed originale.

Accanto alle emozioni che esprimono gioia e speranza ci sono anche quelle che esprimono ansia, tristezza, sconforto e dolore.

L’adolescente si trova poi ad affrontare: il distacco dall’infanzia, che non sempre avviene facilmente e senza lasciare ferite, il problema della sessualità e della sua rielaborazione, il rifiuto del proprio corpo che si trasforma, la ribellione alle convenzioni degli adulti.

Tutte queste figure dell’emozione sono accompagnate dalle grandi domande sul senso della vita e della morte.

Età questa in cui le emozioni si scontrano ripetutamente con le debolezze, con il silenzio e con la lontananza del mondo degli adulti, e allora l’adolescente si ripiega nella propria interiorità e ricerca la solitudine e il distacco dal mondo.

Esistono diversi tipi di solitudine: c’è quella capace di nutrire le risorse dell’anima ma c’è anche quella che corrode l’anima, la fa soffrire e dilata il senso di insicurezza, di angoscia e di tristezza, delineando le prime esperienze depressive.

Saper intuire quando la solitudine è segno di angoscia e disperazione e quando invece è segno di una diastole del cuore, è possibile solo nella misura in cui si ascolti l’anima dell’adolescente.

 

“Il genitore deve essere in grado di leggere lo stato
mentale del bambino e coglierne l’esperienza interna
a partire dal comportamento.”

“Il bambino deve essere in grado di leggere questa
risposta manifesta del genitore e rendersi conto che
essa riflette la sua esperienza affettiva originaria.”

– D. Stern –

Adolescenza e paure

L’adolescenza è una fase dell’età evolutiva che comporta uno sviluppo fisico, inteso come ridefinizione del sé corporeo, uno sviluppo sessuale con conseguenti ripercussioni a livello emotivo-affettivo e uno sviluppo cognitivo. In questo periodo di grandi cambiamenti gli adolescenti presentano paure, date dallo sviluppo delle capacità cognitive e da nuove consapevolezze che aprono la strada a sofferenze, ma anche a bisogni e speranze che sono il versante opposto di ogni paura.

Speltini sottolinea l’aspetto positivo della paura considerandola come presa di coscienza della problematicità del vivere, purchè non degeneri in angoscia nevrotica o in fobie ossessive; ma soprattutto propone di leggere la paura come un indicatore dell’ambiente psicologico dell’adolescente che, come tale, fornisce informazioni utili riguardo alla rappresentazione del sé e del mondo. Riconosce che la maggior parte delle paure sono apprese dall’ambiente familiare e sociale, ma non trascura l’aspetto innato di alcune paure.

Le paure dell’adolescente possono essere tra le più svariate, dalla scuola (come banco di prova delle capacità personali collegate al giudizio e alle attese dell’ambiente familiare ), ai genitori, visti come detentori di potere, giudizio e sanzione.
Ma ci sono anche le paure centrate sull’individuo, sui complessi di inferiorità, insicurezze, senso del ridicolo, incertezze sul futuro, solitudine, paura di non farcela.
Ci sono poi le paure centrate sul sociale, le paure date dal confronto con gli altri, la paura di essere inferiore o inadeguato, nonché la paura per tutti quegli avvenimenti che sfuggono al controllo personale.

In questo tumulto emotivo e di fronte a tutte queste paure, l’adolescente può rispondere con modalità differenti.
Può padroneggiare razionalmente le situazioni che lo avviano all’età adulta, o all’opposto agire in contrapposizione al mondo degli adulti, trasgredendone le regole. Il gruppo dei pari assume una notevole importanza nell’esplorazione e sperimentazione di bisogni innovativi e nella condivisione della trasgressione in un rapporto paritario di confronto e di sostegno reciproco all’interno del gruppo.

Le condotte trasgressive dell’adolescente possono andare dall’assunzione di droghe e alcol, ad atteggiamenti di sfida e di rischio, all’instaurare relazioni sentimentali autodistruttive, a comportamenti alimentari scorretti (disturbi alimentari). Questi comportamenti in realtà sono solo la punta di un iceberg, che spesso nasconde altre problematiche, quali scarsa autostima, insicurezza data dal confronto con gli altri, conflittualità nella propria famiglia d’origine,confini e ruoli familiari non chiari, problemi di comunicazione tra genitori e figli o nella coppia genitoriale.

In tutto ciò gli adulti rivestono particolare importanza per l’adolescente, la possibilità di confronto con loro permette al ragazzo di prendere le distanze dall’urgenza dei bisogni presenti legati alle sensazioni e agli impulsi per accedere al pensiero riflessivo in vista di un progetto futuro.
Ma questo è possibile solo se gli adulti stessi sono persone equilibrate e mature con un buon rapporto con la loro stessa parte bambina e adolescente.