Hikikomori

Il termine hikikomori è stato coniato agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso dallo psichiatra giapponese Saito Tamaki che, con tale espressione, voleva indicare un fenomeno socialmente preoccupante emerso in Giappone circa dieci anni prima.

Si trattava di una volontaria reclusione di alcuni soggetti che decidevano di chiudersi completamente nella loro stanza per lunghi periodi di tempo, addirittura anni, rifiutando qualsiasi forma di contatto con il mondo esterno. È una condizione che nasce e si manifesta prevalentemente in Giappone e si diffonde poi in Corea e in Cina e negli ultimi anni anche negli Stati Uniti, in Australia e in Europa.

In Italia i primi casi di hikikomori sono stati registrati intorno al 2007/2008.

Riuscire ad identificare una data di comparsa del fenomeno non significa che il problema sia sorto all’improvviso, anzi è possibile ipotizzare che esistesse da tempo, ma che le famiglie e i professionisti non gli avessero dato particolare attenzione.

Gli hikikomori italiani possono essere definiti come quei soggetti che non rifiutano a priori la società, anzi fanno di tutto per poterne fare parte, ma, a causa di specifici fattori individuali (pensieri disfunzionali, alti livelli di ansia, bassa autostima, scarso senso di autoefficacia, attribuzioni di causa dei fallimenti tendenzialmente interna) e contestuali (società complessa caratterizzata da rapidi e profondi mutamenti, da richieste sempre maggiori, da ritmi di vita sempre più frenetici), arrivano a maturare l’idea di non essere idonei per stare nella società e che, quindi, l’unica soluzione possibile è quella di rinchiudersi nella propria stanza.

A ciò si aggiunge anche la convinzione che tramite l’isolamento si diventi autonomi e liberi perché non si è più costretti a fare ciò che gli altri si aspettano. Come quelli giapponesi, anche gli autoreclusi italiani sono di solito soggetti molto brillanti, intelligenti, creativi e introversi che possono essere definiti hikikomori nel momento in cui esibiscono ritiro sociale da almeno 6 mesi, precedente fobia scolare, dipendenza da Internet e inversione del ritmo circadiano.

Si riscontrano casi di giovani che abbandonano la scuola per rinchiudersi nella propria stanza, mantenendo però alcune forme di contatto con la famiglia (mangiare insieme, parlare solo con alcuni membri ecc.), giovani che rifiutano qualsiasi forma di attività sociale.
L'”identikit” di un hikikomori si riscontra maggiormente nel sesso maschile, tra i 14 e i 30 anni, solitamente sono ragazzi introversi, intelligenti, critici e negativi verso la società.

La pandemia da Covid-19 non ha certamente aiutato, sconvolgendo la vita a miliardi di persone sparse in tutto il mondo. Oltre a chi ha manifestato sintomi di natura fisica, ci sono coloro che hanno sviluppato disturbi psicologici per gli effetti indiretti del Covid: misure restrittive, coprifuochi notturni, lockdown forzati, perdita di posti di lavoro. Situazioni che hanno scatenato in diverse persone un mix di ansia, psicosi, paura.

Gli hikikomori si isolano per diversi motivi. Spesso questi ragazzi, più sensibili e fragili dei loro coetanei, non riescono a sopportare tutta una serie di pressioni che provengono dalla società di oggi: l’esigenza di prendere buoni voti a scuola, di avere una carriera di successo, di essere belli e alla moda. Tutto ciò provoca in loro ansia e paura del fallimento, portandoli di conseguenza all’isolamento sociale.

L’unico strumento che consente loro di avere contatti con l’esterno è la tecnologia digitale.

Tra i campanelli di allarme per i quali diventa utile rivolgersi ad un professionista, ad un aiuto esterno, vi sono rifiuto saltuario di andare a scuola o addirittura abbandono, alterazione del ritmo sonno – veglia, preferenza di attività solitarie, abbassamento del tono dell’umore e abuso delle nuove tecnologie.

 

I disturbi alimentari nei ragazzi: Come capirli?

Durante l’infanzia e l’adolescenza si possono verificare molti particolari tipi di comportamento alimentare. Solo alcuni sono problematici e la maggior parte non costituisce un “disturbo alimentare”.

Il più noto tra i disturbi alimenatari è l’ “anoressia nervosa”.
Il termine significa “perdita nervosa dell’appetito”, ma questa definizione è fuorviante poiché la ragazza con anoressia non perde l’appetito, anzi ha una gran fame. Il disturbo è caratterizzato dal forte desiderio di perdere peso.
Le ragazze anoressiche evitano di mangiare quando possono e mangiano il minimo possibile in termini reali di valore calorico.
Poichè la fame resta, la tentazione verso il cibo può essere così forte da far perdere il controllo. Allora la ragazza anoressica si sentirà molto in colpa e potrà avere un forte bisogno di eliminare ciò che ha mangiato inducendosi il vomito, prendendo lassativi o facendo continua attività fisica.

Un altro disturbo alimentare ben conosciuto è la bulimia nervosa.
Bulimia significa “fame da bue” e si riferisce al fatto che questi soggetti hanno un appetito incredibile.
Questo si manifesta nella tendenza a fare frequenti abbuffate: durante questi episodi i soggetti possono consumare tre o quattro volte il cibo che una persona normale potrebbe consumare in un pasto.
Poi si sentono fortemente in colpa e provano disgusto verso se stessi e quasi sempre eliminano il cibo mangiato inducendosi il vomito.
I ragazzi bulimici sono spesso normopeso e quindi il loro disturbo alimentare è meno evidente rispetto alla forte perdita di peso di una ragazza anoressica, oppure il loro peso presenta ampie oscillazioni.

Una delle domande poste più di frequente dai genitori sui disturbi alimentari è “perchè mia figlia/o è diventata/o così?”.
Sfortunatamente la risposta è molto difficile.
Ci sono certamente molti fattori che interagiscono prima dell’insorgenza del disturbo alimentare vero e proprio. In altre parole, non esiste una sola causa, ma ve ne sono molte e complesse.
Vi sono fattori predisponenti, che sono precondizioni necessarie per l’insorgenza di un particolare disturbo. Sono elementi già presenti nella persona o nell’ambiente prima che il disturbo alimentare emerga:
dalla genetica, alla personalità (si sa che i soggetti con anoressia nervosa tendono ad avere personalità meticolose e perfezioniste), a fattori biologici, a quelli socio-culturali.
Poi è necessario considerare anche i fattori precipitanti, quali una vasta gamma di eventi o situazioni stressanti come difficoltà scolastiche, perdita di una persona, traumi, tensioni familiari, cambio di scuola etc.

Come riconoscere i disturbi alimentari: I segnali da cogliere

I disturbi alimentari producono alterazioni del comportamento, nel modo di pensare, dello stato psicologico e dello stato di salute dell’individuo.
Tra le alterazioni del comportamento in generale: la dieta, il peso, il cibo diventano l’argomento centrale di ogni discussione, il controllo del peso diventa ossessivo, si tendono ad evitare situazioni conviviali in famiglia o con gli amici, ci si impegna in un’intensa attività fisica.
Si diventa nervosi se per qualsiasi motivo venga disturbata la propria programmazione del pasto o dell’attività fisica, vi è una tendenza all’isolamento sociale e familiare, abuso di farmaci per il controllo del peso, maggiore irritabilità e ansia, umore più depresso, ansia per le prestazioni scolastiche con tendenza a voler essere perfetti.

Tra le alterazioni del comportamento alimentare vi è una riduzione progressiva dell’alimentazione e della frequenza dei pasti, assunzione di regole alimentari rigide, presenza di abitudini alimentari inusuali come sminuzzare cibo, mangiare molto lentamente, conteggio ossessivo delle calorie, mangiare sempre gli stessi alimenti, cucinare per gli altri pietanze che poi la persona non mangia, alternanza di periodi a dieta ferrea con periodi in cui il soggetto mangia troppo, la persona mangia di nascosto o si alza da tavola subito dopo aver mangiato e scompare in bagno.

Vi sono dei segnali cosiddetti di emergenza quando il riposo notturno è disturbato, vi sono pensieri suicidari o comportamenti autolesivi, svenimenti, rabbia elevata, pianto frequente, la tensione familiare cresce e la comunicazione risulta problematica.

Lo stile comunicativo che si utilizza con i ragazzi, è un aspetto molto importante della relazione con loro.
Nella comunicazione quotidiana gli adolescenti tentano di cogliere negli adulti i segnali che rispecchiano il modo in cui sono visti e giudicati e che possono aiutarli a definire e percepire la loro identità ancora in formazione.
Ciò che desiderano è che la propria autostima si rafforzi, che vi sia un incoraggiamento, un sostegno, che vi sia l’accettazione e la comprensione del proprio essere.
Bisogna diventare abili nell’ascoltare e nel riformulare i messaggi che l’adolescente invia, l’adulto deve essere capace di dare coraggio, di abbandonare i pregiudizi, di dare fiducia ed esprimere sentimenti, di favorire in altre parole una relazione più intensa, significativa, affettiva.
Se i genitori provano a comprendere i figli ed a ascoltarli con attenzione, questi saranno maggiormente propensi a parlare di sé o ad esplicitare i propri stati d’animo.

 

Quando ti chiedo di ascoltarmi

Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu cominci a darmi consigli non fai ciò che ti chiedo.
Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu cominci a dirmi perché non dovrei sentirmi in quel modo, calpesti le mie sensazioni.
Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu pensi di dover far qualcosa per risolvere i miei problemi, mi deludi, sebbene ciò possa sembrarti strano.
Forse per questo la preghiera funziona per molti.
Perché Dio è muto, non dà consigli, né prova ad aggiustare le cose.
Semplicemente confida che tu ce la faccia da solo.
Quindi, ti prego, ascolta e sentimi.
E se desideri parlare, aspetta qualche istante il tuo turno e ti prometto che ti ascolterò.

– Anonimo –

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Bibliografia

  • Il vaso di Pandora, a cura di Laura Dalla Ragione e Paola Bianchini, Quaderni del volontariato, 2008.
  • Disturbi alimentari, guida per genitori e insegnanti, Rachel Bryant- Waugh e Bryan Lask, Edizioni Erikson, 2000.

Emozioni e adolescenza

È ormai opinione comune che l’essere umano prende coscienza delle cose intorno a sé non solo attraverso la razionalità ma anche e soprattutto attraverso l’intuizione emozionale. Tale contatto, ovvero quello legato ad emozioni e sentimenti, ci permette di conoscere cosa ci sia nel cuore e nell’immaginazione degli “altri-da-noi”.

Le emozioni, pur essendo molteplici presentano un elemento comune rappresentato dalla capacità di portarci fuori dai confini del nostro io, mettendoci in contatto con il mondo delle cose e delle persone. Essendo inoltre fortemente contrassegnate dalla trascendenza come orizzonte di conoscenza, la misura dell’intenzionalità in questo processo di continua relazione con gli altri è soggetta a diversi cambiamenti per ogni condizione emozionale. A tal proposito possiamo infatti parlare di:

  • emozioni nelle quali la vita interiore di ciascun individuo è riempita di gioia, o di letizia, di tristezza, o di malinconia, pur essendo caratterizzate da uno scarso slancio intenzionale verso gli altri-da-noi e verso il mondo delle cose. Tali emozioni vengono generalmente chiamate stati d’animo;
  • emozioni come esperienze radicalmente indirizzate al mondo degli altri e delle cose e che di tale relazione si nutrono, contraddistinte inoltre da una forte intenzionalità. Tra queste vanno citate “amore, nostalgia, vergogna, ansia, timidezza, odio, ecc”.

Ci sono delle emozioni che si trasformano nel corso della vita mentre ce ne sono altre che rimangono intatte e significative nel corso della vita.

L’adolescenza è sicuramente l’età in cui le emozioni esplodono in modo significativo ed originale.

Accanto alle emozioni che esprimono gioia e speranza ci sono anche quelle che esprimono ansia, tristezza, sconforto e dolore.

L’adolescente si trova poi ad affrontare: il distacco dall’infanzia, che non sempre avviene facilmente e senza lasciare ferite, il problema della sessualità e della sua rielaborazione, il rifiuto del proprio corpo che si trasforma, la ribellione alle convenzioni degli adulti.

Tutte queste figure dell’emozione sono accompagnate dalle grandi domande sul senso della vita e della morte.

Età questa in cui le emozioni si scontrano ripetutamente con le debolezze, con il silenzio e con la lontananza del mondo degli adulti, e allora l’adolescente si ripiega nella propria interiorità e ricerca la solitudine e il distacco dal mondo.

Esistono diversi tipi di solitudine: c’è quella capace di nutrire le risorse dell’anima ma c’è anche quella che corrode l’anima, la fa soffrire e dilata il senso di insicurezza, di angoscia e di tristezza, delineando le prime esperienze depressive.

Saper intuire quando la solitudine è segno di angoscia e disperazione e quando invece è segno di una diastole del cuore, è possibile solo nella misura in cui si ascolti l’anima dell’adolescente.

 

“Il genitore deve essere in grado di leggere lo stato
mentale del bambino e coglierne l’esperienza interna
a partire dal comportamento.”

“Il bambino deve essere in grado di leggere questa
risposta manifesta del genitore e rendersi conto che
essa riflette la sua esperienza affettiva originaria.”

– D. Stern –