Sessualità e impotenza

In quale periodo dell’evoluzione sessuale abbia avuto luogo la nascita della coppia non è dato sapere, ma i paleontologi ritengono che la collaborazione di vita fra l’uomo e la donna abbia avuto inizio proprio nelle popolazioni presso le quali gli aspetti genitali e cerebrali dell’attività sessuale erano tali da indurre le coppie a restare unite almeno per il tempo necessario ad allevare la prole e a costituire una famiglia. E questa operazione vitale non poteva essere raggiunta senza l’uso di un linguaggio.
Alla base della coppia c’è l’attrazione dei sessi, potente, fondamentale, che ha come fine biologico la perpetuazione della specie. Ma non solo, visto che la sessualità umana non è essenzialmente “genitale” ma anche psicologica.

Continuando a parlare di sessualità, riteniamo affetto da eiaculazione precoce l’uomo che lamenta la comparsa dell’eiaculazione dopo una breve eccitazione, se invece manca di erezione ha una impotenza e quando una donna dichiara di non provare l’orgasmo ha un’anorgasmia. Eiaculazione precoce, impotenza, eiaculazione assente o ritardata ecc. sono considerate nella letteratura specialistica e spesso nella pratica clinica malattie. Così facendo, da un punto di vista terminologico, si ricorre a criteri empirici e prescientifici come quando in medicina si identificava il sintomo più evidente per assegnare un nome alla malattia e da un punto di vista descrittivo si definisce la malattia del medico e non quella dell’ammalato.
La malattia è da intendere come una condizione o status che interessa tutta la persona nella sua globalità psico-fisico-relazionale. La malattia dunque non è semplicemente un sintomo o un insieme di sintomi, ma un particolare modo di essere nel mondo, una nuova dimensione della vita che nasce dalla rottura degli equilibri psicofisiologici capaci di mantenere la persona in uno stato di salute. Eiaculazione precoce come impotenza, anorgasmia ecc. sono sintomi e non malattie.
Così, curare l’impotenza erettile come se si trattasse semplicemente della compromissione dell’evento vascolare che permette la penetrazione vaginale, significa ignorare le componenti emotivo-affettive e relazionali che accompagnano quella compromissione e che nel loro insieme accompagnano lo stato di malattia.
Il termine impotenza comprende tutte le alterazioni della risposta sessuale che assumono significatività per la costituzione dell’essere uomo o donna, si riconoscono quindi un’impotenza sessuale maschile e femminile.

Impotenza sessuale maschile: Incapacità di essere uomo, incapacità che può nascere dalla reale o presunta compromissione di una, alcune o tutte le variabili anatomo-fisiologiche e psicologico-comportamentali che caratterizzano la virilità in un determinato contesto socioculturale.
Impotenza sessuale femminile: Incapacità di essere donna, incapacità che può nascere dalla reale o presunta compromissione di una, alcune o tutte le variabili anatomo-fisiologiche e psicologico-comportamentali che caratterizzano la femminilità in un determinato contesto socioculturale.

Le definizioni sono sovrapponibili e accomunate dal vissuto di inadeguatezza che le caratterizza.
In esse figurano alcune affermazioni che è bene esplicitare.

  1. Reale o presunta compromissione. Non tutti i sintomi che i pazienti segnalano e che rappresentano per loro l’occasione per elaborare un vissuto di inadeguatezza, corrispondono ad una reale compromissione. Alcuni fanno riferimento ad eventi propri della fisiologia che il paziente interpreta erroneamente come manifestazione di insufficienza strutturando uno stato di malattia assolutamente privo di contesto fisiopatologico (malato senza malattia). La perdita dell’erezione dopo svariati tentativi di introduzione resa impossibile dal fatto che la partner reagisce involontariamente con una contrazione spastica della muscolatura dell’ostio vaginale (vaginismo) può essere erroneamente intesa come una compromissione della funzione erettile e sostenere quindi un vissuto d’impotenza.
  2. Tutte le variabili anatomo-fisiologiche e psicologico-comportamentali. Con questa espressione si fa riferimento a quelle componenti della mascolinità o femminilità che caratterizzano l’incontro sessuale e la cui compromissione viene riferita come sintomo. Tali variabili possono essere di ordine:
    • anatomo-patologico (malformazioni, mutilazioni traumatiche o chirurgiche, patologie organiche);
    • fisiologico (erezione, eiaculazione e orgasmo per l’uomo);
    • psicologico (desiderio del rapporto e della coabitazione vaginale, soddisfazione);
    • comportamentale (corteggiamento, conquista, frequenza, durata, abilità erotiche.
  3. In un determinato contesto socioculturale. Ciascuna cultura produce le sue malattie. Le variabili anatomo-fisiologiche e psicologico-comportamentali assumono rilevanza nel definire la sessualità maschile e femminile solo in rapporto ai significati che la cultura attribuisce loro.

Elencherò qui di seguito di altri tipi di impotenza: organica, psichica, mista e impotenza di coppia.

Impotenze organiche

Le impotenze organiche sono sostenute dalla compromissione dello stato generale di sanità e/o dal danno anatomo funzionale di natura morfologica, chirurgica, degenerativa, neoplastica o tossica che colpisce un organo o un apparato. Tale compromissione può impedire totalmente o parzialmente, ma sempre in maniera prevalente rispetto alle concomitanti cause psicologiche, una, alcune o tutte le funzioni che costituiscono la fisiologia della risposta sessuale.
I fattori organici possono influire negativamente sulla risposta sessuale in maniera diversa.

Impotenza psichica

L’impotenza psichica è sostenuta dalle componenti psicologiche intrapersonali e/o relazionali che impediscono lo svolgersi della risposta sessuale le quali, pur dominando sempre il quadro patologico rispetto a concomitanti affezioni organiche, possono assumere un ruolo favorente, determinante, scatenante, di mantenimento o aggravante.
Fattori favorenti. Da un punto di vista intrapersonale possono agire come favorenti la disinformazione sessuale e/o le false conoscenze, l’adesione alle mode o ai miti socialmente costruiti (il maschio superdotato, la femmina pluriorgasmica), le condizioni dell’umore (depressione), una generica insicurezza, l’essere tendenzialmente ansiosi, una storia psicoevolutiva caratterizzata dalla difficoltà a fruire serenamente del piacere (educazione repressa) oppure dall’incerta costruzione dell’identità sessuale o dalla facilità a vivere sensi di colpa. Ha funzione favorente anche la qualità della relazione per la perdita delle potenzialità deduttive, la presenza di malattie fisiche o disturbi psicologici che limitano la disponibilità dell’altro, le modeste e transitorie crisi coniugali.

Impotenze miste

Le impotenze miste sono determinate dalla possibile concomitanza dei fattori organici con quelli psicologici o di quelli intrapersonali con le cause relazionali.

Impotenza sessuale di coppia

L’impotenza sessuale di coppia viene definita come l’incapacità della coppia di avere una soddisfacente vita sessuale per la compromissione della risposta sessuale che può colpire uno, l’altro o entrambi i partner, causata da una struttura relazionale patogena. Anche questa definizione si fonda sulla considerazione del vissuto, seppure non con la stessa frequenza rilevata per l’impotenza individuale, i pazienti usano un linguaggio che può avere significato diagnostico. I membri della coppia che vive un matrimonio bianco usano espressioni come “Non siamo capaci di avere rapporti” oppure “Non siamo una coppia come si deve” o anche “Per noi la sessualità è un problema”; nei casi in cui è la reciproca aggressività a sostenere i disturbi, i segni verbali sono caratterizzati da una precisa formulazione accusatoria: “Mia moglie mi ha spinto a venire perché dice che sono impotente” o “Sono venuto solo per accompagnarla perché è lei che si deve far curare” e infine da parte dell’accusato “Si è vero non abbiamo rapporti, mi spiace, ma non so cosa farci”. Generalmente mancano sensazioni soggettive di incapacità da parte del portatore del sintomo, mostrando di avere l’inconsapevole percezione che il sintomo esprime la compromissione di qualcosa di diverso dalla sua persona. Nel rivolgere l’attenzione anche alla coppia, l’indagine clinica si è arricchita: la rilevazione delle impotenze di coppia è stata pressoché contemporanea ad una diversa sensibilità culturale rispetto ai temi del comunicare e del relazionare che ha interessato il pensiero collettivo e scientifico. Così, per esempio, dagli anni ’70 le persone hanno incominciato a presentarsi in coppia e oggi avviene sempre più di frequente, mentre chi si reca alla consultazione da solo è più disponibile a coinvolgere il partner il quale, a sua volta, raramente oppone resistenze. Ciò non significa che la richiesta comune dei partner sia il segno di un’impotenza di coppia, ma è di certo un richiamo a considerare il loro essere assieme e non solo la sofferenza di uno dei due.

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Bibliografia

  • Rifelli G. (1998), Psicologia e psicopatologia della sessualità. Il Mulino, Bologna.
  • Rifelli G., Moro P. (1989), Sessuologia clinica. Vol 1: Sessuologia generale. CLUEB Editore, Bologna.
  • Rifelli G., Moro P. (1989), Sessuologia clinica. Vol 2: Impotenza sessuale maschile, femminile e di coppia. CLUEB Editore, Bologna.
  • Andolfi M. (2003), La crisi della coppia. Una prospettiva sistemico – relazionale. Raffaello Cortina Editore, Milano.

Quante coppie

In questo articolo riporterò alcune tipologie di coppie disfunzionali, traendo spunto dal libro di Willy Pasini “A che cosa serve la coppia”.
Le tipologie di coppie sono svariate e questo non vuole essere di certo un articolo per ridurre la coppia a delle semplici “etichette”, ma viene scritto sempre con la consapevolezza di poter dare spunti di riflessione a chi lo legge.

Pasini parla di Amore come possesso reciproco.
In queste coppie il piacere di controllare si trasforma in gusto del potere e in conflitti il cui unico obiettivo è non darla vinta all’altro.
Ogni pretesto è buono. L’attività del partner o il suo essere passivo. La sua autonomia o la sua dipendenza. L’ostinazione o l’arrendevolezza, l’amore dell’ordine o la trasandatezza.
In tali coppie, il partner dominante assume di solito atteggiamenti dispotici.
Non solo pretende fedeltà assoluta, ma vorrebbe pure che questa fosse una decisione spontanea dell’altro: insomma ambisce al controllo non solo dei comportamenti, ma anche della mente dell’altro.
Il partner passivo sopporta tutto, ben contento di poter delegare all’altro tutte le decisioni e di vivere sotto la sua protezione. Si tratta però di un meccanismo di potere: la resistenza passiva è solo il modo migliore per dominare il compagno, lasciandosi apparentemente dominare.
In situazioni di ordinaria quotidianità, basta poco per dare inizio all’escalation del litigio.
Lui, per esempio, sarebbe disponibile a preparare la colazione ogni tanto, ma non sopporta che sia la moglie a ordinarglielo.
Dominare per non essere dominati è il pensiero fisso di queste coppie, in cui nessuno prende l’iniziativa perché teme che l’altro possa interpretare il suo approccio come un segno di debolezza e sfruttarlo per avanzare pretese.

Continua parlando di Amore come nutrimento reciproco.
Immaginiamo i partner come madre e figlio: l’una deve continuamente accudire l’altro nei suoi inesauribili bisogni.
Lei trae piacere dal ritorno alla calma del bimbo dopo la poppata, lui dal nutrimento che riceve.
All’interno di questa coppia recita la parte del poppante chi non riesce ad identificarsi nel ruolo materno perché troppe sono le frustrazioni che ha vissuto con la sua vera madre: le funzioni materne che vengono rifiutate sono trasferite sul partner, che deve quindi corrispondere a un’immagine ideale di madre gratificante.

Vi è poi l’Amore inteso come dovere.
Generalmente in queste coppie i due si incontrano per infelicità.
La donna cerca aiuto, secondo un copione che si ripete sempre uguale. L’uomo è stato convinto dalla famiglia a mettere la testa a posto. Lei non è innamorata, ma si sposa pensando che prima o poi arriverà anche l’amore. Lui aspira solo a consolarla, attività che lo condanna a un continuo senso di frustrazione perché, nonostante tutti i suoi tentativi, la compagna non riemerge dal suo stato di insoddisfazione cronica. Quando però è lui che chiede aiuto, perché si è ammalato oppure a causa di difficoltà professionali, lei lo respinge: non vuole e non può dedicare al marito alcuna attenzione materna.

Pasini parla anche di Amore come fusione, parlando di coppia narcisistica.
Dirà di narcisisti è pieno il mondo, li riconosci perché fin dal primo incontro ti fanno sapere tutto di loro, i narcisisti dipendono dall’ammirazione altrui ed è per questo che amano circondarsi di persone la cui unica funzione è riflettere l’immagine di sé come protagonisti.
I narcisisti non riescono a concepire l’altro come individuo autonomo, ma solo come veicolo per un’ulteriore conferma del proprio sé.
Lascio immaginare i risvolti che questo può comportare in una coppia nella quale dall’Io si passa al Noi.

E voi vi siete ritrovati in qualche coppia descritta? Se non vi siete rivisti, come definireste la vostra coppia?
Vi rimando a questi altri articoli dove potrete trovare ulteriori spunti di riflessione Le disfunzioni sessuali nella dinamica di coppia e La coppia diventa famiglia.

Dott.ssa Alice Nucci

Adottare un figlio

Alla base della scelta adottiva c’è spesso una “sentenza crudele”: uno dei due partner, o entrambi, non possono procreare.
Una condanna spesso inappellabile che colpisce come una mannaia alla fine di lunghe e defatiganti analisi e visite mediche.
In questi casi succede che la coppia viva l’adozione come un ripiego, come l’unica via d’uscita al tradimento subito dal proprio corpo.
Il desiderio di un figlio proprio, in cui specchiarsi e nel quale cercare le somiglianze fin dal giorno in cui siete sicuri della sua permanenza nell’utero materno, è certamente forte e comprensibile.
Ancora oggi la maggior parte delle coppie che si rivolgono all’adozione lo fanno, almeno inizialmente, come ultima spiaggia prima della rinuncia definitiva ad avere figli.
Ma questo è sbagliato, e prima o poi anche queste coppie ne prendono coscienza: l’adozione non è mai, non può essere un ripiego a un figlio che non arriva.
L’emozione che si prova per un figlio adottato è in tutto simile a quella che si prova per un figlio “nato dalla pancia”.
Molte coppie, soprattutto quelle più giovani, all’inizio pensano all’adozione come a una risposta solidale ai problemi del mondo: sulla terra ci sono tanti bambini abbandonati che hanno bisogno di affetto, proporsi come genitori diventa il modo per sentirsi parte di un progetto “missionario”.
Se, ognuno e in modo diverso persino all’interno della medesima coppia, giunge all’adozione con un proprio percorso, con le proprie voglie e frustrazioni, con figli già avuti o con un certificato di sterilità fra le mani, con il desiderio incontenibile del novizio o il timore di chi si sente troppo avanti negli anni; se le risposte cambiano, per la stessa persona, nel corso del tempo, l’unico consiglio è di leggersi dentro, sempre, con la maggior onestà possibile.
Ma soprattutto essere consapevoli che è molto meglio riflettere sull’adozione un poco di più che rischiare un fallimento, meglio una litigata in famiglia perché non si è ancora d’accordo che dover riconoscere, a bambino adottato, che proprio non eravamo fatti per la famiglia.
Un bambino, adottato o no, non è mai la soluzione a un problema.
Può diventare lui un problema, o, peggio, voi un problema per lui.
Un bambino adottato non è mai un ripiego. A nulla. A nessun difetto del vostro corpo o del vasto corpo del mondo.
Un bambino adottato è un bambino che esce da una storia dolorosa.
E’ una persona che, come minimo, ha nel suo vissuto l’abbandono di quella madre che l’aveva ospitato nella pancia.
E, conseguentemente, l’adozione non è un atto eroico.
E’ semplicemente, un modo per dare dei genitori a un bambino che ne ha estremo bisogno.
Genitori come tutti gli altri per figli che non sono speciali in nulla, se non per il loro strano modo di nascere nella vostra famiglia.
Mai come nella gravidanza adottiva è quindi importante parlare. La comunicazione nella coppia che si sta preparando all’adozione deve essere quotidiana, proprio per permettere all’elaborazione effettuata di diventare patrimonio comune.
E mai come in questo caso possono essere utili i confronti con le coppie che hanno già fatto questa scelta e che hanno già affrontato e superato questi dubbi e problemi.

Un percorso psicologico può essere di sostegno e aiuto alle coppie che abbiano o meno maturato questa scelta.
Lo Psicoterapeuta può essere di supporto anche alle donne per le quali il desiderio di essere madri sia divenuto una sorta di ossessione.

L’Autostima

Nel senso comune spesso si crede erroneamente che le persone che hanno una buona autostima siano quelle che si mostrano forti, molto competenti e/o con tante abilità.
In questo modo più ci si sente bravi e competenti a fare una cosa, più l’autostima dovrebbe rafforzarsi.
Non è così! Difatti a rafforzarsi sarà il senso di autoefficacia, non l’autostima!
L’autostima è la capacità di essere trasparenti, perspicui, di non identificarsi né con le proprie convinzioni, né con ciò che le altre persone dicono di noi.
E’ la capacità di mettersi da parte e di sentirsi liberi, indipendenti e autonomi nei confronti dell’approvazione altrui.
L’autostima nasce dalla consapevolezza di essere persone uniche, irripetibili e quindi speciali.
Nasce dall’essere e non dal fare.
In realtà raggiungere l’autostima non significa sentirsi superiori alle altre persone, chi raggiunge l’autostima non si lascerà scalfire da nessuna offesa.
Comprendere perché ci comportiamo in modo da essere sempre sconfitti, non ci aiuterà a smettere di farlo.
E’ necessario agire e per questo dobbiamo agire in modo diverso da come abbiamo sempre fatto.

“Quando non ho avuto più niente da perdere, ho ottenuto tutto.
Quando ho cessato di essere chi ero, ho ritrovato me stesso.
Quando ho conosciuto l’umiliazione ma ho continuato a camminare, ho capito che ero libero di scegliere il mio destino”. – Paulo Coelho

Accettarsi non significa rassegnarsi o sentirsi impotenti.
Al contrario accettare vuol dire non combattere e non lottare contro se stessi. Significa essere consapevoli che non abbiamo nemici e che quindi non c’è nessuno da sconfiggere.
Vuol dire affrontare le nostre paure e le nostre paranoie mettendole, ogni giorno, in discussione.
L’accettazione nasce da una soddisfazione profonda.
La raggiungiamo quando in profondità non diciamo più di no e tutto il nostro essere diviene soddisfazione.
Non lottiamo più, non ci opponiamo più a nulla, accettiamo ogni cosa del nostro essere ed oltre a imparare ad accettare noi stessi, dobbiamo anche imparare ad accettare la realtà.

“Non siete quello che pensate o sentite di essere.
Siete tutto cio’ che potete diventare”.
– Owen Fitzpatrick

Bisogna prendersi tutto il tempo che serve e ricordare sempre che, come dice Lao Tzu “Invece di maledire il buio, è meglio accendere una candela”.
E la candela illuminerà la strada verso il raggiungimento dell’autostima.

Ho ripreso alcuni dei tanti passaggi del libro dello psicologo Fabio Gherardelli, quelli che hanno attirato maggiormente la mia attenzione e che per me sono significativi.
L’autostima, il benessere, quella pace che sembrano quasi impossibili da ottenere, ma che in realtà attraverso un viaggio interiore possiamo raggiungere, liberandoci da tutte quelle paure e insicurezze che offuscano la nostra esistenza.

La coppia diventa famiglia

Con la nascita del primo figlio la coppia viene riconosciuta come famiglia a tutti gli effetti.
A tale riguardo però occorre dire che la coppia di per sé, quando è ben fondata, è già una famiglia in quanto ha carattere di generatività.
Infatti la generatività della coppia scaturisce dall’amore che la costituisce e si manifesta in alcune espressioni fondamentali: capacità di donare, di accogliere, di prendersi cura, di progettare.
La nascita del primo figlio è la naturale conseguenza di questa generatività e attribuisce alla coppia lo “status” di famiglia. Questo riconoscimento viene innanzitutto da parte dei nonni che smettono di considerare i due coniugi come “i ragazzi” e mandano loro messaggi intesi a qualificarli come genitori.
Il rapporto della giovane coppia con i reciproci genitori subisce evoluzioni diverse: si può verificare un recupero del rapporto madre – figlia, oppure può emergere una competitività latente. La giovane mamma può manifestare bisogno di aiuto e consiglio oppure può nutrire un senso geloso di esclusione.
I due coniugi portano nella famiglia che si accingono a costruire tutte le influenze vissute nella famiglia d’origine: una miriade di messaggi, tutti fedelmente registrati e incancellabili, su di sé, sui rapporti genitori – figli, sui rapporti di coppia, su ruoli e concezioni di vita, una lunga serie di giudizi e pregiudizi con tutti i sentimenti ad essi collegati. Nel rapporto con il figlio tutte queste influenze vengono attivate in modo spesso inconsapevole e in forme diverse:

  • o si tende a ripetere i comportamenti dei genitori anche quando se ne riconosce la manchevolezza o problematicità;
  • o si reagisce ad essi facendo l’esatto contrario, con una radicalità che manca ancora una volta di equilibrio;
  • o si oscilla dall’una all’altra parte.

Inoltre le influenze della famiglia paterna si amalgamano con quelle della famiglia materna.
E’ questo il punto cruciale, solo se possiamo permetterci di essere diversi dai nostri genitori potremo permettere ai figli di essere diversi da noi. Altrimenti si perpetuano catene di dipendenze e storie che si ripetono.
Per tornare alla nascita del figlio diciamo che tutti i rapporti devono essere reimpostati, emergono nuovi ruoli, quelli dei nonni innanzitutto, ma anche degli zii etc.

Ma dentro la coppia che cosa avviene?

Un figlio unisce i due per la vita, ma nello stesso tempo separa; innanzitutto si intromette nella coppia e sottrae tempo all’intimità del rapporto; la giovane madre prova sentimenti tutti nuovi di tenerezza, di protezione, di orgoglio, a volte anche di possesso.
Sente anche su di sé una nuova responsabilità, quella di accudire il figlio nel modo migliore e a volte può temere di non farcela. Questo può far nascere in lei sentimenti di inadeguatezza o di colpa, la sensazione di non essere una buona madre.
In conseguenza di ciò si aspetta dal marito un supplemento di aiuto e comprensione e questi d’altra parte si trova nella situazione di dover dare di più ricevendo di meno e spesso sentendosi escluso e trascurato.
La coppia deve tener conto che il sentimento materno è diverso da quello paterno: il primo più istintivo ed esclusivo, il secondo più razionale e bisognoso di tempo per crescere e definirsi nel rapporto col figlio.
I coniugi, prima del nuovo arrivo, hanno creato un’identità di coppia: la costruzione del nido, interessi e abitudini comuni, progetti di vita, rapporti sociali, tutto ciò che li qualifica come un “noi”. Il figlio sfida l’identità di coppia e la rimette in discussione su molti versanti.
La coppia che progetta di costruire una famiglia deve mettere in conto che occorre tutta una vita per capirsi e che il rapporto, costruito giorno dopo giorno, deve crescere nel succedersi delle diverse fasi fino alla fine. Ci vuole poco tempo per scoprire i difetti dell’altro, ma occorre una vita per scoprirne le qualità.
Riconosciuta la diversità dell’altro ci si può trovare lontani, quasi estranei. La mancanza di conoscenza dei dinamismi della coppia può ingigantire le difficoltà e creare sconforto.
Per tutto ciò bisogna mantenere vivo il dialogo, un dialogo costruito sulla manifestazione di sé e sull’ascolto.
Serve restare in contatto con i propri sentimenti, sforzarsi di percepirli e manifestarli all’altro, non dare mai niente per scontato, non pensare cioè che l’altro possa capire i sentimenti del coniuge ed i veri motivi del suo comportamento senza che questi glieli abbia detti.
Quindi saper ascoltare l’altro, saper arrivare a delle mediazioni, in quanto il matrimonio si fonda in gran parte su un saggio lavoro di mediazione, è una contrattazione continua, una spartizione di compiti e di potere dalla quale nasce lentamente una collaborazione sempre più decisa.
La coppia deve reimpostare i rapporti con le reciproche famiglie d’origine. Questo non vuol dire voltare le spalle alle proprie famiglie di origine, ma che la coppia ha bisogno di tracciare chiaramente i suoi confini, di definire uno spazio tutto suo su cui costruire una nuova famiglia con nuove abitudini e una nuova cultura, mediazione e sintesi delle culture di provenienza.
Infine occorre menzionare l’importanza dell’apertura all’esterno: agli amici reciproci e comuni, alle altre famiglie, al mondo in una dialettica continua di costruzione interna e di interazione con l’esterno in cui la coppia ha bisogno di crescere, evitando di ripiegarsi su se stessa.

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Riferimenti

  • Giannina Semprini, responsabile del “Centro Don Milani”, centro di prevenzione, psicoterapia e formazione.

Il ciclo vitale della coppia e della famiglia

La famiglia è un sistema vivente, il cui sviluppo avviene per “stadi” all’interno della dimensione tempo: essa passa attraverso una serie di “epoche”, ognuna consiste in un “periodo di transizione”.

Durante le transizioni si verificano profonde trasformazioni psicologiche e a livello strutturale.
Nel corso del suo ciclo di vita, ogni gruppo familiare passa attraverso una serie di stadi che richiedono dei cambiamenti di ruolo intrafamiliari, dall’altra parte il coinvolgimento dei singoli membri in altri sistemi sociali (scuola, mondo del lavoro etc…) fa si che ogni soggetto di fronte a determinati “passaggi” debba affrontare dei cambiamenti del proprio ruolo, proprio perché tale fase lo richiede.
Secondo J. Haley (1973) quando una famiglia non riesce ad effettuare il cambiamento e si blocca in una certa tappa del ciclo vitale, interrompendone l’evoluzione, nascono i sintomi a carico di uno o più membri della famiglia. L’obiettivo della psicoterapia familiare è allora quello di riattivare una crescita della famiglia, che si evidenzia con il passaggio alla fase successiva di ciclo vitale.

Le autrici Carter e Mc Goldrick hanno elaborato un modello di funzionamento della famiglia normale che implica la considerazione di almeno tre generazioni e che si snoda su due livelli differenti, uno verticale (generazionale) e uno orizzontale, legato agli accadimenti della vita.
In accordo con questo modello, il sintomo o il conflitto che blocca il sistema familiare nel suo percorso evolutivo si colloca quindi nell’intersezione tra gli eventi stressanti verticali (vincoli e difficoltà ereditate dalle generazioni precedenti) ed eventi stressanti orizzontali (legati agli accadimenti della vita).
Talvolta tale intreccio può risultare incrinato, rallentato o ingarbugliato. In tal senso per  un ciclo di vita bloccato risulta terapeutico ri-narrare e ridare un significato più funzionale alla storia vissuta.

Carter e McGoldrick presentano una suddivisione del ciclo di vita in sei stadi: il giovane adulto, la nuova coppia, la famiglia con bambini piccoli, la famiglia con adolescenti, l’allontanamento dei figli, la famiglia in tarda età.

Nella fase precedente la formazione della famiglia, è indispensabile il “distacco emotivo” del giovane dal gruppo di origine e ciò si concretizzerà attraverso la differenziazione e definizione del proprio sé rispetto ai familiari, nell’ambito del lavoro e delle relazioni con i pari.

E’ il periodo in cui si passa dall’adolescenza all’età adulta. Il giovane deve apprendere delle competenze relazionali e utilizzarle nella sua vita sociale, lasciando la base sicura offerta dalla famiglia per affrontare esperienze di studio, lavorative, sentimentali, che comportano un distacco fisico o emotivo dai familiari. Questo processo di distacco è chiamato individuazione; inizia nell’adolescenza e si conclude con il distacco fisico e/o emotivo della persona dalla famiglia.  Per arrivare a questa differenziazione è necessario un movimento disgiuntivo da parte di tutti i membri del sistema, tra i quali avviene la negoziazione delle modalità di distacco. Le famiglie invischiate avranno maggiori difficoltà a negoziare questo distacco perché i vari membri lo sentiranno come una sorta di tradimento.

La fase della coppia

Un lavoro positivo di ristrutturazione, deve portare all’organizzazione del sistema di coppia e si devono “ridefinire” le relazioni con le famiglie estese e con i gruppi di appartenenza dei coniugi o conviventi. Si può verificare che in alcune famiglie, uno o entrambe i membri della coppia non hanno rielaborato in modo costruttivo, il distacco dalla propria famiglia di origine (scarsa differenziazione), per cui risulta limitata la capacità di realizzare un efficace coinvolgimento nel nuovo gruppo familiare e da qui possono sorgere problemi all’interno della nuova coppia.

La nuova coppia dovrà negoziare un considerevole numero di regole relazionali, che non vengono discusse, ma semplicemente agite. Nel mettere in atto il processo di accomodamento reciproco, ognuno dei membri della coppia mette in atto una serie di modelli transazionali appresi dalla propria famiglia d’origine cercando di imporli al partner. Questo produrrà tensioni, ma gradualmente la coppia giungerà a creare modelli transazionali condivisi da entrambi.
Un altro compito molto importante sarà quello di stabilire una giusta distanza emotiva dalle famiglie d’origine, costruendo un nuovo tipo di rapporto con i genitori, i fratelli  e i parenti acquisiti, allo scopo di avere uno spazio in cui sperimentare la propria autonomia di persone adulte.

Nel terzo stadio, quello della famiglia con bambini piccoli, il processo emozionale centrale è l’accettazione di questi come nuovi membri del sistema.
La nascita di un figlio, soprattutto del primogenito, produce nel sistema familiare innumerevoli cambiamenti; nasce infatti il sottosistema genitoriale accanto a quello coniugale già esistente, mentre nelle famiglie d’origine dei neo-genitori si creano i ruoli di nonni e di zii. Molti accordi stabiliti nel primo periodo del matrimonio devono essere rivisti e subiscono cambiamenti, così come i modelli transazionali messi a punto in precedenza, in virtù del fatto che da uno schema relazionale a due si passa ad una triade.
Con la nascita di un bambino si passa dallo stato di figli a quello di genitori, con un’ulteriore maturazione psicologica della coppia genitoriale; tuttavia in questo periodo problemi pratici ed organizzativi fanno sì che la giovane coppia sia piuttosto coinvolta con le rispettive famiglie d’origine. Ciò può provocare ingerenze da parte degli altri nell’educazione del figlio.
La stessa educazione della prole può essere causa di conflitto tra i genitori, i quali possono avere stili educativi differenti, più o meno permissivi.

Nella famiglia con adolescenti, deve essere aumentata la flessibilità dei confini all’interno della famiglia, per permettere l’indipendenza dei giovani. Se ciò avviene, l’adolescente si sentirà libero di entrare e uscire dal sistema famiglia senza nessun tipo di condizionamento o di costrizione.
Uno dei momenti critici del periodo centrale del matrimonio è l’ingresso dei figli a scuola, per due ragioni: I° perché eventuali discrepanze nello stile educativo dei due genitori più facilmente diventano evidenti, in un contesto nel quale se ne può valutare l’effetto; II° perché l’ingresso del bambino a scuola rappresenta la prima esperienza di uscita del bambino dal nucleo familiare e i suoi genitori cominciano a fare esperienza del fatto che mano a mano che il figlio cresce, sempre più si allontanerà dai genitori e i due coniugi resteranno soli, uno di fronte all’altro.
In questo periodo del ciclo vitale della famiglia non ci sono cambiamenti nella composizione, tuttavia i cambiamenti strutturali sono causati dal fatto che i figli crescono e si verifica un lento e progressivo svincolo dalle figure genitoriali. La crisi adolescenziale può essere vista come una lotta tra genitori e figli per mantenere le vecchie posizioni gerarchiche all’interno del sistema familiare, a fronte di richieste di crescita e di cambiamento da parte dell’adolescente.

Con i figli adulti, il processo emozionale centrale sarà l’accettazione di un numero sempre maggiore di movimenti in uscita da e di entrata nel sistema: in pratica ciò comporterà nuovi interessi entro il sottosistema coniugale degli adulti, lo sviluppo di relazioni alla pari tra genitori e figli adulti e la ridefinizione di relazioni per includere nipoti e generi/nuore.

Il movimento di emancipazione dalla famiglia d’origine deve essere incoraggiato dai genitori i quali devono inviare messaggi incentivanti e di stima, comunicando al figlio che è pronto per farcela.
La ragione per la quale il passaggio a questa fase può essere difficoltoso sta nel fatto che spesso la coppia dà più spazio agli aspetti genitoriali della relazione, rispetto agli aspetti coniugali. Perciò in genere il matrimonio entra in una crisi che progressivamente si dissolve, mano a mano che i due coniugi risolvono i loro conflitti e trovano un nuovo modo di essere coppia, permettendo al figlio di avere il proprio partner e la propria professione.

Il momento del pensionamento e della vecchiaia. Il pensionamento produce dei cambiamenti nella struttura familiare dal momento che la persona, concludendo la sua vita lavorativa, si ritrova a vivere la più rilevante parte del tempo in famiglia, coinvolgendosi maggiormente all’interno della famiglia. Dal momento che si conclude la vita lavorativa dell’individuo, il periodo del pensionamento è spesso connotato da tristezza, sentimenti depressivi, senso di inutilità legato alla mancanza di produttività. Allora accade talvolta che una persona della famiglia sviluppi una sofferenza psichica, dando modo al pensionato di occuparsene e di farlo sentire utile.
Ad un certo punto della vita uno dei due coniugi rimarrà vedovo e dovrà rientrare in famiglia, dove le generazioni più giovani si prenderanno cura di lui. Anche questo può essere un momento di crisi che può indurre la famiglia a ricoverare l’anziano in un istituto.

Riguardo alle fasi del ciclo vitale sopra descritte è indispensabile avere la flessibilità di cambiare i ruoli dei singoli membri e la flessibilità di cambiare la “struttura” della famiglia per arrivare ad un nuovo equilibrio che sappia fare fronte davanti al “cambiamento” (Minuchin, Famiglie e Terapia della Famiglia).

Quando questo non avviene, il terapeuta può aiutare i membri a rinegoziare il quid pro quo a ogni passaggio, da una fase del ciclo vitale a un’altra.
La psicoterapia  ha come scopo quello di capire, con l’aiuto del terapeuta, come la storia delle relazioni possa aver portato ad una situazione di impasse, di sofferenza ed eventualmente alla presenza di un sintomo in uno dei suoi membri.
Con la terapia si favorisce la possibilità di trovare nuove e più funzionali modalità di ascolto reciproco e di espressione dei bisogni personali. L’intervento terapeutico ha come scopo, sia la soluzione del problema, o del conflitto, presentato dalla famiglia, che il benessere psicofisico di ciascun suo membro, favorendo un incremento della differenziazione del sé rispetto agli altri.

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Bibliografia

  • Andolfi M., La crisi della coppia, Cortina, Milano, 1999.
  • Minuchin S., Famiglie e Terapia della Famiglia, 1977.

L’altro è diverso

In una coppia all’inizio l’amore è quasi totalmente donato ed in questo senso ha molto dell’amore narcisista, è cioè un sentimento spontaneo che sorge da un incontro profondo di bisogni, interessi, emozioni e fantasie, un sogno che nasce da lontano e guarda lontano. È la fase dell’innamoramento, intessuta di segnali misteriosi, di ponti sospesi su una atmosfera rarefatta, un tempo in cui niente è sicuro, ma tutto è possibile ed il possibile sfiora orizzonti grandiosi. Con il passar del tempo il senso di novità si attenua, si allenta il desiderio di ricerca e di scoperta dell’altro e con esso la carica creativa; subentra l’abitudine, cieca maestra nei rapporti umani, che intrappola le persone in giochi vecchi e scontati. Emergono i difetti reciproci e con essi gli antichi egoismi, le delusioni e l’assurda rivendicazione di voler tutto per l’altro, al di là dell’errore dato. E’ il momento in cui l’amore sognato deve trasformarsi in amore concreto, reale, cha sa misurarsi con le difficoltà del vivere quotidiano, che sa resistere agli inevitabili conflitti di un rapporto umano, un amore non più regalato ma costruito giorno dopo giorno con intelligenza e volontà. E la prima difficoltà da affrontare è il fatto che l’altro è diverso, diverso da come lo si era immaginato, ma comunque diverso perché è altro da sé. La diversità fa sempre paura perché mette in discussione la propria identità, un’identità costruita fra molte incertezze alla quale si rimane tenacemente aggrappati.
In un certo senso occorre un atto di fede per accettare l’altro così come è, una fede che si radica nell’amore. Ma solo chi ha uno spessore sufficiente di personalità ed una buona fiducia in sé stesso, sa accettare sentimenti, convinzioni, abitudini diverse senza tremare; solo chi è flessibile e aperto al nuovo sa accettare un giudizio su di sé. Nella coppia, in particolare, occorre mettere nel conto quella fondamentale diversità che è data dalla differenza sessuale. Infatti il fisicità si riversa nello psichico e lo determina in gran parte. Si possono, a questo riguardo, individuare alcune linee di tendenza dell’identità maschile e di quella femminile, ma occorre tenere presente che le caratteristiche che si tenta, qui di seguito, di mettere in luce possono essere clamorosamente influenzati dall’affettività. L’uomo è portato alle visioni globali della realtà, ma possono sfuggirgli i particolari; la donna tende ad essere analitica e selettiva, ma proprio per questo rischia di non cogliere le vedute di insieme e i rapporti tra le parti. L’uomo, ancora, è più proiettato all’esterno, in genere nutre interessi sociali più marcati, ma fa fatica a percepire i suoi sentimenti ed ad analizzarli. La donna è naturalmente più introspettiva, più intuitiva, più centrata sui sentimenti e capace di una ricca dialettica nel settore affettivo al punto che il suo partner, di fronte alle sottili argomentazioni femminili, nel timore di dimostrarsi inferiore, può chiudersi in un ostinato silenzio, o peggio, punire l’altra con una serie ben calcolata di dispetti, che d’altra parte difficilmente possono essere razionalizzati. L’uomo tende alla conquista, al dominio; la donna può essere portata a desiderare sostegno e protezione, ma a questo riguardo possono nascere molte ambiguità, perché è anche vero che una delle massime aspirazioni della donna è quella di avere un’influenza determinante sul suo uomo e di essere il perno della famiglia. La donna inoltre tende a centrare i figli su di sé ed ha le doti per farlo; purtroppo quando il rapporto di coppia è fortemente conflittuale questa sua tendenza può avere conseguenze drammatiche per i figli. A questo si aggiunga la sostanziale diversità in cui viene vissuto il rapporto sessuale che prima di giungere a sentimenti di profonda donazione in cui i due partner possono sentirsi simili, percorre strade e tentativi diversi. Le diversità appena accennate costituiscono solo alcuni esempi della ricca gamma di differenziazione, che possono scaturire dal solo fatto della diversità sessuale. Poi naturalmente, occorre mettere nel conto tutte le altre differenze derivanti dalle tendenze costituzionali, dalle storie vissute innanzi tutto nelle famiglie di origine e nei diversi ambienti di vita, dagli incontri, dalle culture, dalle abitudini e da tutto ciò che ha formato il carattere e la personalità. Un posto di rilievo, ovviamente, ce l’hanno le identificazioni introiettate in famiglia e la conseguente tendenza a fare proiezioni e cioè attribuire al’altro sentimenti, idee, motivazioni di comportamento che in realtà rientrano solo nella storia personale di chi giudica. Infatti i rapporti vissuti in famiglia hanno determinato in gran parte la formazione della personalità, la costruzione non solo di un’immagine di sé, ma anche di un’immagine di partner e di un modello di rapporto di coppia. Ora, comunque siano stati tali rapporti, condizionano in modo nascosto ma tenacissimo i sentimenti ed il comportamento dei due partners, sia per imitazione che per reazione. Naturalmente per conoscere ed elaborare tali diversità occorre molto tempo ed impegno. L’attrazione sessuale ed affettiva che spinge un ragazzo ed una ragazza l’uno verso l’altro è uno dei più potenti dinamismi della vita. Ma tale attrazione iniziale deve rimandare innanzi tutto a se stessa, a rivedersi, a scoprirsi, a migliorare, deve avviare cioè ad un autentico sviluppo di personalità. Parallelamente incita ad approfondire con sempre maggior interesse e rispetto la conoscenza dell’altro. L’amore presuppone l’incontro di due libertà e perciò di due persone mature e consapevoli. Non esiste vero amore che non sia reciproco. L’amore a senso unico, per forte che sia, non è che una via senza uscita. Per tutto questo l’amore vero non può nascere in pochi giorni e neppure in pochi mesi. Richiede molto tempo. Il dono di sé all’altro, l’accettazione dell’altro in sé non sono mai completi, mai dati una volta per sempre. Il dono dell’amore tende per sua natura ad essere ripetuto. Il dinamismo dell’amore non si dispiega con pienezza che nel tempo: a forza di impazienze superate, di scoraggiamenti accettati, di gioie e di entusiasmi condivisi.