Padri e figlie

Questo articolo è dedicato alle pazienti che rivolgendosi a me per risolvere talune problematiche, si sono imbattute a ripercorrere la loro storia da figlie, nonché il rapporto difficile col proprio padre.
Lo dedico inoltre a tutte le potenziali lettrici che hanno sofferto o soffrono tuttora per delle mancanze nella loro relazione di padre e figlia.

C’è sempre nel cuore di una figlia un posto per il padre ed è questo che ne rende così esaltante la presenza e dolorosa l’assenza.
Ma c’è anche nel padre un amore particolare per la sua bambina perché, al di là dell’affetto e della tenerezza che suscita, lei rappresenta quel territorio enigmatico e sconosciuto che è la femminilità.
Padri e figlie sono sempre esistiti, ma di recente il loro rapporto sembra aver trovato un nuovo slancio e una maggiore complessità.
Il padre oggi è diventato, molto più che in passato, un protagonista della scena familiare.
Il suo ruolo, un tempo prevalentemente normativo, si va trasformando.
La paternità (come del resto la maternità) corre su binari diversi, a seconda che il figlio sia un maschio o una femmina.
E’ una verità ovvia, sostenuta da luoghi comuni antichissimi. Da sempre si parla di legami privilegiati tra figli e genitori di sesso diverso.
Preoccupati dal timore di apparire parziali, e quindi ingiusti, i padri e le madri giurano spesso di amare tutti i figli allo stesso modo e con uguale intensità. Mentono. Persino a se stessi.
Confrontarsi con un maschio o con una femmina non è la stessa cosa. Tra i due rapporti esiste, per ognuno di noi, una differenza che non va confusa con altre diversità (amore e disamore, superiorità e inferiorità). E’ una differenza a sé, presente sin da quando ha inizio il rapporto emotivo tra genitori e figli.
Le madri sono il primo oggetto d’amore per ogni bambino; per questo la maggior parte di esse ha la sicurezza, più o meno fondata, che il distacco dalla loro creatura non sarà mai completo.
Nell’amore materno il figlio si “imbatte”ancora prima di nascere.
È un elemento naturale dentro cui si immerge, attingendone a piene mani.
L’amore paterno è diverso: non è un dato acquisito una volta per tutte, è un processo che cresce, si costruisce e si trasforma negli anni.
Via via che la figlia cresce, e da bambina diventa donna, il padre va incontro a nuovi problemi, a nuovi turbamenti.
Certo anche il maschio si trasforma, crescendo, ma si tratta di passaggi meno”inquietanti”, che il padre conosce per averli vissuti direttamente.
Il sentimento paterno verso il figlio è di solito versatile e concreto, quello verso la figlia fragile e insicuro.
In un padre che non riesce a trasmettere il proprio amore alla figlia non ci sono sempre insensibilità ed egoismo; più spesso si tratta di una sorta di analfabetismo affettivo, dovuto al severo controllo delle emozioni al quale l’uomo viene abituato fin da piccolo.
Ma le figlie si confrontano con questo tipo di padre molto prima di disporre degli strumenti per capire che, dietro a quei silenzi, più che l’indifferenza e disamore c’è l’incapacità di riconoscere e manifestare i propri sentimenti, e crescono portandosi dentro quell’originaria ferita.
Le figlie che si sono sentite respinte o poco amate da padri emotivamente distanti accumulano un fortissimo bisogno di risarcimento affettivo.
Più sono ampi i vuoti lasciati dal padre, maggiore è lo spazio che le figlie hanno a disposizione per costruire l’uomo dei sogni.
I cambiamenti culturali degli ultimi decenni hanno permesso a molti uomini di vivere una paternità più calda e partecipe di quella ereditata dai loro padri. Forse i padri egoisti, ottusi e anaffettivi fra qualche tempo ci appariranno un retaggio del passato.
Già oggi questo stereotipo è in gran parte caduto, ma resta, più o meno sotterranea, l’idea che l’amore paterno sia secondario per i figli rispetto a quello della madre.
Quell’assenza di emozioni, quell’indifferenza che fa tanto soffrire le donne è certamente il risultato del carattere e della sensibilità dei singoli, ma anche una sorta di decreto culturale che stenta a ridare ai padri ciò che è dei padri.
E’ per questo che l’assenza o la presenza paterna nella vita di una figlia è una condizione di base per il formarsi della sua personalità.
“Un padre occorre” ha scritto Bernard Muldworf, “non solo perché un figlio nasca dal ventre di una donna, ma anche perché un essere umano possa svilupparsi in tutte le sue virtualità. Ci vuole un padre perché un uomo diventi uomo e una donna diventi donna”.

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Bibliografia

  • Gianna Schelotto, Ti ricordi, papà? Padri e figlie, un rapporto enigmatico, ed.Mondadori.

Nascere insieme

La relazione madre – bambino

Quando nasce, il bambino ha un potenziale ereditario, ma per crescere ha sicuramente bisogno delle cure dell’ambiente esterno, soprattutto di cure materne (non necessariamente deve trattarsi della madre biologica).
Esiste un’interazione tra le caratteristiche biologiche e innate del neonato e le cure da parte dell’ambiente.
Nella primissima fase, quando soma e psiche sono tutt’uno nel bambino, le cure di cui necessita sono soprattutto di ordine fisico: la madre deve comprendere i bisogni fisiologici e rispondervi adeguatamente, sostenendo la dipendenza totale del bambino in questa prima fase. E’ necessario che la madre lo pensi, si identifichi con lui e che lo possa capire.
Il primo nucleo di identità del bambino è nella madre.
Dopo l’iniziale fusione è necessario che la madre permetta al bambino di separarsi, in modo graduale, sostenuta e protetta in questo compito dal partner.
Perché la simbiosi madre – bambino possa realizzarsi è necessaria la presenza di un terzo esterno, il padre, che, a sua volta, contiene e protegge la diade.
Per comprendere maggiormente i vissuti della madre è importante partire dai vissuti della gravidanza e del parto.

La gravidanza

La gravidanza costituisce una modificazione sostanziale della donna, della sua immagine, del suo corpo e della relazione col partner.
Tutte queste trasformazioni possono essere vissute con sentimenti ambivalenti, anche nei casi in cui la gravidanza sia stata scelta:

  • le modificazioni del corpo che possono essere vissute come intrusive, pericolose per l’incolumità fisica, anche in relazione ai disturbi insorti con la gravidanza;
  • le modificazioni del rapporto col partner, relativamente alla sessualità, alla esclusione e alla paura dell’uomo di perdere la moglie;
  • modificazione dei rapporti col mondo esterno: rapporti sociali, di lavoro, con la famiglia allargata.

Il rapporto più significativo che si ridefinisce è il rapporto interno con la propria madre.
Il desiderio di gravidanza emerge durante l’adolescenza come desiderio di mettere alla prova il proprio corpo, che è diventato capace di generare, come quello della propria madre.
La gravidanza, quindi, mette in moto le problematiche di acquisizione dell’identità femminile che erano già emerse durante l’adolescenza, in particolare il difficile processo di identificazione e separazione dalla propria madre. Con la gravidanza la donna deve affrontare una doppia identificazione: con la propria madre, alla quale sta diventando simile, col bambino, al quale è stata simile.
Se il rapporto con la madre è stato sufficientemente buono, allora sarà più facile per la donna identificarsi con la madre e con la bambina che è stata; se, invece, la madre riteneva sé stessa una bambina inadeguata, allora i vissuti rispetto alla propria gravidanza possono essere più complessi.
Un altro aspetto importante riguarda le fantasie che la madre fa sul bambino: all’inizio della gravidanza il bambino è come se fosse una parte della madre; la donna vive un ripiegamento su sé stessa, che è funzionale all’identificazione col bambino e che poi verrà riversato sul bambino al momento della nascita.
Il bambino è pensato, immaginato, fantasticato. Deve essere così: il bambino deve esistere oltre lo spazio corporeo anche in uno spazio mentale.
Nelle fantasie sul bambino possono essere presenti, naturalmente, anche delle paure, di malattie, malformazioni, patologie genetiche.

Il parto

Anche il parto ha dei vissuti psicologici molto complessi: da un lato è una perdita, una separazione fisiologica (il bambino abbandona la madre, la madre espelle il bambino), dall’altro è un vissuto di dolore intenso che si collega alla paura di morire, a dei sentimenti di ostilità nei confronti del bambino che ha provocato il dolore e, a volte, delle lesioni vere e proprie.
Inoltre, c’è il compito di confrontare il bambino fantasticato col bambino reale: bisogna superare la quasi inevitabile non corrispondenza tra le due immagini e per questo è molto importante il contatto precoce madre – figlio.
Tutti questi aspetti legati a sé stessa, al dolore, all’immagine del bambino sono sempre dotati di ambivalenza e la donna deve confrontarsi con questa ambivalenza: è necessario che la donna li accetti e li riconosca per poi poterli superare. In questo senso sono importanti i corsi di preparazione al parto, dove è possibile, in un contesto di tipo contenitivo e nel confronto con altre donne, esprimere questi sentimenti.

La maternità

Anche per quello che riguarda la maternità esiste una mistica, l’idea di una “mamma immediata”, della donna che immediatamente è capace di essere una brava mamma. Questo non è vero: il comportamento materno non è né innato né automatico, ma necessita di tempo perché madre e bambino stabiliscano un adattamento reciproco. All’inizio le cure materne devono essere una continuazione delle cure fisiologiche del periodo prenatale:la madre continua ad avere un’identificazione col figlio per comprendere i suoi bisogni e stabilire una comunicazione che, prima di tutto, è fisica, empatica.
Il neonato in questo periodo ha bisogno di acquisire una continuità dell’esistenza, difeso, grazie alle cure materne, dagli urti dell’ambiente esterno. Quando ha fame è necessario che la mamma lo allatti, la madre deve fornirgli una stabilità dei ritmi che gli permetta un’organizzazione spazio – temporale, deve tenere conto della sensibilità cutanea, agli stimolo visivi e uditivi del bambino, che lo tocchi e lo tenga in braccio. È necessario che lo sostenga, comprendendo e soddisfacendo tutti i suoi bisogni.
Tutte queste cose insieme possono riassumersi nel concetto di holding, che non è semplicemente “l’atto di tenere in braccio”ma ha un significato più ampio.
Gradualmente e parallelamente alla maturazione psico – fisica del bambino, la madre passa da una comprensione essenzialmente fisica ed empatica del suo bambino ad una comunicazione basata su quello che il bambino segnala. All’inizio le grida del bambino esprimono solo un disagio, un modo di scaricare la tensione; è la madre che, piano piano, dà un significato al pianto e, gradualmente anche per il bambino questi segnali assumono un significato di comunicazione. La madre, allora, non risponde più magicamente ai suoi bisogni e il bambino sperimenta l’attesa, la frustrazione e in questo modo diventa un essere separato dal suo ambiente e impara a dare dei segnali perché i suoi bisogni vengano soddisfatti.
Nell’interazione con la madre il bambino sperimenta l’efficacia dei suoi segnali e il mondo diventa più ordinato, più prevedibile. Inizia il processo di separazione.
Inoltre, durante l’attesa il bambino può fantasticare la soddisfazione dei suoi bisogni e così inizia la sua attività mentale.
In questo processo, sia madre che bambino oscillano tra la totale dipendenza e simbiosi e la separazione, che è per la mamma altrettanto difficile che per il bambino.

Alcune situazioni di rischio si possono individuare se il bambino non è stato mai “pensato” in gravidanza, se è troppo diverso da quello fantasticato, nell’incapacità della madre di separarsi o peggio quando la madre ha sentimenti di rifiuto, di ansia o ostilità quando c’è il contatto intimo con il bambino (sentimenti che nega a sé stessa).
La situazione è più complicata quando c’è un conflitto di coppia. Nel rapporto disturbato fra madre e bambino si inseriscono le alleanze del padre che dimostra che la sua cattiva moglie è anche una cattiva madre, amplificando il disturbo della relazione.
La funzione genitoriale è una funzione complessa e complicata; diventare genitori non è una semplice aggiunta allo stato precedente, ma un evento che modifica profondamente e durevolmente sia l’individuo che la coppia.

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Bibliografia

  • Ammaniti, “Gravidanza e interazioni sociali precoci”. Psicoterapia e scienze umane, 1978.
  • Bowlby, “Attaccamento e perdita”, Bollati Boringhieri, 1972.

Lettera alla tua famiglia

Carissimo,
sento un forte desiderio di rivolgermi alla tua famiglia che, pur essendo formata da più individui e tutti con la propria specifica e ben distinta personalità, è al tempo stesso un’unità inscindibile.
Come un trio per archi o un quartetto, un ensemble musicale, in cui il violino, la viola da gamba e il violoncello hanno ciascuno capacità espressive tonali e melodiche proprie, ma la sonata emerge dall’insieme di tutti gli strumenti.
Mi sembra questa una buona metafora della famiglia, un insieme in cui le capacità del singolo, e quindi la sua personalità irripetibile, sono fondamentali, ma devono contribuire alla riuscita di un risultato comune.
Penso al contrappunto, a quando due strumenti entrano in una vera comunicazione e le note si susseguono in un dialogo serrato: la bellezza è il dialogo, non i pezzi melodici serrati di ciascuno strumento. Se suonano insieme, danno sensazioni musicali piacevoli, separatamente fanno pensare a qualche cosa di incompleto, di rotto.
Ed ecco il primo messaggio: nessuno può essere escluso dalla famiglia di cui è parte.
La famiglia è il luogo dei sentimenti, il risultato risiede nello stare bene insieme, in particolare nel luogo fisico della famiglia, la casa.
La casa è particolarmente importante. Lo è per me, per tutti noi italiani che la desideriamo e la curiamo fino a imprimervi uno stile di famiglia.
Ognuno di noi esercita un compito proprio fuori casa, legato alle caratteristiche di ciascuno, alla propria professione, ma quando i solisti rientrano, l’ensemble si ordina per una sonata di famiglia, e abbiamo fatto cose straordinarie.
Straordinarie anche se solcate talora dal dolore, tra il dispiacere, le difficoltà, le incomprensioni.
Molte volte ho sentito la famiglia come un vincolo insopportabile, talora mi è sembrato di non essere capito e di venire criticato, come se io fossi inadeguato. Momenti in cui la famiglia mi è apparsa un inferno nemico, con la sensazione di aver sbagliato tutto.
Ma da trentasette anni faccio parte dell’organico e ora so che una famiglia cambia, che ha capacità di rinnovarsi, di ricrearsi.
Non saprei vivere senza questa famiglia, non perchè sia legato da una dipendenza, dall’incapacità a un’esistenza solitaria, ma perchè sto bene, perchè qui trovo la forza di vivere dentro il mondo, di andare verso il mondo sapendo e pensando sempre al mio punto di riferimento. La famiglia non mi toglie la libertà di agire da singolo, ma mi dà la forza di farlo.
Insomma sono parte di una famiglia che non è né perfetta, né un esempio di romanticismo poetico, ma ha retto ed è rimasta, tra qualche scossone e seguendo l’andamento da alta a bassa marea, il luogo dei sentimenti.
Chi pensa che l’affetto sia uno status continuo o che si spenga in funzione dell’età, sbaglia.
Se pensate che una famiglia vecchia abbia consumato gli affetti e sia chiusa dentro le coordinate del minimalismo, vi ingannate.
Se pensate che il gusto della relazione totale, che certo mescola anche i corpi, sia una proprietà esclusiva della giovinezza, siete in errore. Se credete che, diminuendo il vigore delle passioni, si è fuori dall’amore, prendete un grande abbaglio. Le relazioni affettive sono sempre nuove per totalità, per eleganza, per l’accumulo dell’esperienza passata: un racconto musicale barocco, non privo di improvvisazioni e di qualche resurrezione. Oltre il tempo: una durée che parla di infinito.
Voglio ora riempire i fogli da lettera che mi rimangono con le mie riflessioni su ciascuno dei ruoli che appartengono alla famiglia.
Dopo aver composto una sonata, occorre farne una trascrizione per strumenti e dunque comporre lo spartito.

La madre

Cara signora,
il pericolo che corri è di dedicarti completamente alla famiglia, di considerare che non c’è altro al di fuori di questo piccolo mondo e, quindi, di assumere tutto il significato al suo interno e di perderlo completamente quando ne sei fuori. La madre deve svolgere al meglio possibile la funzione familiare, e in alcuni momenti l’impegno è enorme, ma non può ridursi ad esso e quindi deve poter coltivare e promuovere un senso fuori della famiglia.
Non rinunciare mai ad esercitare il ruolo, ma non accattare mai di esercitare solo quello.
Dunque non rinunciare mai a svolgere bene il ruolo di madre, ma non dimenticare che rimane, per lo più, il tempo per fare altro.
Se metti al mondo un bambino, e io ti auguro di fare questa esperienza eccezionale, sappi che per i primi tre anni dovrai vivere in gran parte per lui.
Tra zero e tre anni si compie nel bambino il processo di separazione – individuazione che è uno dei punti essenziali della crescita, poiché è con il compimento di questo processo che un bambino si percepisce come un’unità staccata e in grado di raggiungere un primo livello di autonomia, nel senso di potersi relazionare con gli altri.
Non ti sembri troppo scontata questa affermazione e pensa che alla nascita il bambino non si distingue come qualche cosa di separato da te e quindi deve procedere verso l’acquisizione di una diversità che sorge solo se si confronta continuamente con persone stabili, e la madre gli serve per distinguersi da lei e se cambia come in un caleidoscopio, lui non riesce a percepire un che di stabile su cui confrontare la propria individuazione, una individuazione che avviene proprio attraverso la separazione. Solo così non sarà un bambino timido, ma fiducioso e si proporrà, andrà verso gli altri e verso gli altri bambini per giocare o per scambiare la propria esperienza.

Ora permettimi di fare un salto e raggiungere la pubertà, quando per tuo figlio o tua figlia comincia la metamorfosi del corpo, ma anche della personalità e della sensibilità sociale.
Anche qui c’è la ricerca di un ulteriore livello di autonomia, questa volta non nell’acquisizione di un Sè che sappia relazionarsi con altri, ma un’autonomia psicologica della famiglia per poter uscire e sperimentare le relazioni sociali, non più sotto l’ombrello e la guida di mamma e papà.
Ebbene, in questo momento il pericolo per una madre è di voler esserci a tutti i costi, di voler imporsi, di controllare eccessivamente il bisogno, anche di avventura che l’adolescente cerca.
In questa fase è positivo che te ne stia anche lontana, senza rancori certo, e senza rispondere violentemente alle provocazioni che gli adolescenti mandano contro la famiglia nel suo insieme. Ecco un momento in cui ti puoi dedicare di più a una dimensione fuori dalla famiglia, a meno di non avere altri figli che ora abbiano un’età che richiede l’impegno già superato dal primo.
Insomma, il ruolo di madre ha periodi di diversa attività e guai a non esserci quando occorre, mentre non serve o serve starne lontano, in età differenti. E ciò, ovviamente, non vuol dire abbandono, ma una presenza da lontano, una presenza che si riallaccia nel racconto e nell’ascolto della vita del figlio vissuta fuori casa, e che tende a diventare anche segreta.
Se non prendi le distanze e continui a fare la madre dedicata anima e corpo, finirai per essere inopportuna ed esserci quando sarebbe meglio non esserci e persino esercitare un mammismo insopportabile. Senza accorgertene, cercherai di dimostrare di essere necessaria a tuo figlio e quindi lo vedrai sempre insicuro, incapace, vicino a commettere sciocchezze se non rimanesse sotto il tuo sguardo.
Diventerai una madre odiosa, una di quelle che interferiscono persino nel suo matrimonio, se mai quel figlio sarà capace di scegliere una donna che non sia la madre o come la madre.
Ci sono delle madri tremende, è bene che tu lo sappia per non diventarlo. Come un violino che vuole suonare sempre, anche quando non ha ruolo sullo spartito, se non suona si sente non – violino e così rovina le capacità singole e di ensemble di ogni altro strumento.

E ora permettimi di vederti un po’ come moglie.
Non accettare mai di diventare succube di tuo marito. Rifiuta di essere trasformata in una serva che accoglie ordini e che, all’esecuzione puntuale, riceve in cambio silenzio e semmai rimbrotti. Non diventare una cameriera e dunque non accettare nemmeno di essere al servizio di un signore che, stanco, deve venire rifocillato da una moglie sempre gentile; ricordalo: per essere gentili bisogna godere della libertà persino di non esserlo. Mentre una serva deve servire sempre, tu sei la moglie, la compagna, una che si trova in una relazione d’affetto con lui, e non dimenticare anche che, se una moglie diventa schiava, è perchè lo ha voluto. Non c’è mai nessuna motivazione sufficiente perchè tu debba accettare di esser trattata male, sia sul piano psicologico che fisico.

Il padre

Carissimo padre,
rivolgendomi a te mi pare di scrivere a uno che non c’è, a un padre mancato, non so colpevolizzarti perchè ti voglio bene, perchè soffri e risenti del tempo presente, in cui l’uomo si muove senza sapere perchè, oberato dagli stimoli del momento e con la paura che la batteria si scarichi.
Se mi permetti un consiglio, per ritrovarti cerca di fare il padre e il marito, scoprirai la bellezza di avere un senso e la grandezza dell’affettività e del valore dei sentimenti.
Porta a casa meno roba, meno simboli e portati a casa tu, perchè i figli hanno bisogno di te e così tua moglie, e scoprendo che sei essenziale per loro avrai la dimensione anche di te stesso e allora potrai esistere senza faticare per l’inutile, per ricoprirti di cose che ti diano un senso. In quel modo non solo non lo ottieni, ma ti perdi sempre di più. Fermati, “perditi per finalmente ritrovarti”.

I figli

Cari figli,
lo sapete bene di essere la parte centrale della vita della famiglia e che lo sguardo di tutti è rivolto a voi. Ebbene, vi prego, non ritenete di avere soltanto diritti. Non è vero che, poiché siete il fine, l’oggetto dell’educazione, dovete ricevere e non dare mai, e protestare e lamentarvi degli educatori e del clima in cui si svolge la relazione educativa. Non limitatevi al lamento, anche se a ragione, senza fare il minimo sforzo per capire cosa è successo e senza nemmeno porvi il problema di un possibile aiuto da dare a vostra madre o a vostro padre. Mi meraviglio che non facciate nulla per facilitarli in questo compito, perchè non si tratta di due robot che non possono andare mai in crisi e allora, se volete un’attenzione adeguata, aiutateli. Suggerimento in perfetta sintonia con la certezza che l’educazione non è un processo a una sola direzione. Con ciò non sostengo affatto che si debbano scambiare i ruoli, sono ben lontano dal pensarlo; affermo con decisione che se i padri e le madri non sono motivati, fanno maggiore fatica a svolgere il loro ruolo e su questo tasto voi avete una grandissima capacità per incidere.
Fatelo e cercate poi di evitare i tono aggressivi che, se hanno bisogno di esser capiti e talora tradotti nel loro significato, demotivano e fanno sentire a padri o madri di essere inadeguati. Insomma, l’educazione va da loro a voi con ritorni che siano di sostegno, di correzione reciproca e di rinforzo per continuare. Continuare un’esistenza assieme sentendo gratificazione, gioia di vivere, di vivere con loro anche se non sono perfetti.

Queste sono alcune considerazioni sulla famiglia, tratte dal libro “Lettera alla tua famiglia” di Vittorino Andreoli, Bur Saggi, 2006.
Ovviamente ho riportato una minima parte dei contenuti della lettera, sperando di suscitare nella mente di chi la legge riflessioni sulla propria famiglia, visioni che possono portare all’identificazione in ciò che si è letto come pure ad una visione opposta su ruoli e/o contenuti citati.
Credo che l’autore del libro abbia voluto sottolineare l’importanza nella famiglia del dialogo, un dialogo di sentimenti e il valore dell’unità familiare dato dal contributo dei singoli componenti.

La coppia diventa famiglia

Con la nascita del primo figlio la coppia viene riconosciuta come famiglia a tutti gli effetti.
A tale riguardo però occorre dire che la coppia di per sé, quando è ben fondata, è già una famiglia in quanto ha carattere di generatività.
Infatti la generatività della coppia scaturisce dall’amore che la costituisce e si manifesta in alcune espressioni fondamentali: capacità di donare, di accogliere, di prendersi cura, di progettare.
La nascita del primo figlio è la naturale conseguenza di questa generatività e attribuisce alla coppia lo “status” di famiglia. Questo riconoscimento viene innanzitutto da parte dei nonni che smettono di considerare i due coniugi come “i ragazzi” e mandano loro messaggi intesi a qualificarli come genitori.
Il rapporto della giovane coppia con i reciproci genitori subisce evoluzioni diverse: si può verificare un recupero del rapporto madre – figlia, oppure può emergere una competitività latente. La giovane mamma può manifestare bisogno di aiuto e consiglio oppure può nutrire un senso geloso di esclusione.
I due coniugi portano nella famiglia che si accingono a costruire tutte le influenze vissute nella famiglia d’origine: una miriade di messaggi, tutti fedelmente registrati e incancellabili, su di sé, sui rapporti genitori – figli, sui rapporti di coppia, su ruoli e concezioni di vita, una lunga serie di giudizi e pregiudizi con tutti i sentimenti ad essi collegati. Nel rapporto con il figlio tutte queste influenze vengono attivate in modo spesso inconsapevole e in forme diverse:

  • o si tende a ripetere i comportamenti dei genitori anche quando se ne riconosce la manchevolezza o problematicità;
  • o si reagisce ad essi facendo l’esatto contrario, con una radicalità che manca ancora una volta di equilibrio;
  • o si oscilla dall’una all’altra parte.

Inoltre le influenze della famiglia paterna si amalgamano con quelle della famiglia materna.
E’ questo il punto cruciale, solo se possiamo permetterci di essere diversi dai nostri genitori potremo permettere ai figli di essere diversi da noi. Altrimenti si perpetuano catene di dipendenze e storie che si ripetono.
Per tornare alla nascita del figlio diciamo che tutti i rapporti devono essere reimpostati, emergono nuovi ruoli, quelli dei nonni innanzitutto, ma anche degli zii etc.

Ma dentro la coppia che cosa avviene?

Un figlio unisce i due per la vita, ma nello stesso tempo separa; innanzitutto si intromette nella coppia e sottrae tempo all’intimità del rapporto; la giovane madre prova sentimenti tutti nuovi di tenerezza, di protezione, di orgoglio, a volte anche di possesso.
Sente anche su di sé una nuova responsabilità, quella di accudire il figlio nel modo migliore e a volte può temere di non farcela. Questo può far nascere in lei sentimenti di inadeguatezza o di colpa, la sensazione di non essere una buona madre.
In conseguenza di ciò si aspetta dal marito un supplemento di aiuto e comprensione e questi d’altra parte si trova nella situazione di dover dare di più ricevendo di meno e spesso sentendosi escluso e trascurato.
La coppia deve tener conto che il sentimento materno è diverso da quello paterno: il primo più istintivo ed esclusivo, il secondo più razionale e bisognoso di tempo per crescere e definirsi nel rapporto col figlio.
I coniugi, prima del nuovo arrivo, hanno creato un’identità di coppia: la costruzione del nido, interessi e abitudini comuni, progetti di vita, rapporti sociali, tutto ciò che li qualifica come un “noi”. Il figlio sfida l’identità di coppia e la rimette in discussione su molti versanti.
La coppia che progetta di costruire una famiglia deve mettere in conto che occorre tutta una vita per capirsi e che il rapporto, costruito giorno dopo giorno, deve crescere nel succedersi delle diverse fasi fino alla fine. Ci vuole poco tempo per scoprire i difetti dell’altro, ma occorre una vita per scoprirne le qualità.
Riconosciuta la diversità dell’altro ci si può trovare lontani, quasi estranei. La mancanza di conoscenza dei dinamismi della coppia può ingigantire le difficoltà e creare sconforto.
Per tutto ciò bisogna mantenere vivo il dialogo, un dialogo costruito sulla manifestazione di sé e sull’ascolto.
Serve restare in contatto con i propri sentimenti, sforzarsi di percepirli e manifestarli all’altro, non dare mai niente per scontato, non pensare cioè che l’altro possa capire i sentimenti del coniuge ed i veri motivi del suo comportamento senza che questi glieli abbia detti.
Quindi saper ascoltare l’altro, saper arrivare a delle mediazioni, in quanto il matrimonio si fonda in gran parte su un saggio lavoro di mediazione, è una contrattazione continua, una spartizione di compiti e di potere dalla quale nasce lentamente una collaborazione sempre più decisa.
La coppia deve reimpostare i rapporti con le reciproche famiglie d’origine. Questo non vuol dire voltare le spalle alle proprie famiglie di origine, ma che la coppia ha bisogno di tracciare chiaramente i suoi confini, di definire uno spazio tutto suo su cui costruire una nuova famiglia con nuove abitudini e una nuova cultura, mediazione e sintesi delle culture di provenienza.
Infine occorre menzionare l’importanza dell’apertura all’esterno: agli amici reciproci e comuni, alle altre famiglie, al mondo in una dialettica continua di costruzione interna e di interazione con l’esterno in cui la coppia ha bisogno di crescere, evitando di ripiegarsi su se stessa.

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Riferimenti

  • Giannina Semprini, responsabile del “Centro Don Milani”, centro di prevenzione, psicoterapia e formazione.