Sessualità e impotenza

In quale periodo dell’evoluzione sessuale abbia avuto luogo la nascita della coppia non è dato sapere, ma i paleontologi ritengono che la collaborazione di vita fra l’uomo e la donna abbia avuto inizio proprio nelle popolazioni presso le quali gli aspetti genitali e cerebrali dell’attività sessuale erano tali da indurre le coppie a restare unite almeno per il tempo necessario ad allevare la prole e a costituire una famiglia. E questa operazione vitale non poteva essere raggiunta senza l’uso di un linguaggio.
Alla base della coppia c’è l’attrazione dei sessi, potente, fondamentale, che ha come fine biologico la perpetuazione della specie. Ma non solo, visto che la sessualità umana non è essenzialmente “genitale” ma anche psicologica.

Continuando a parlare di sessualità, riteniamo affetto da eiaculazione precoce l’uomo che lamenta la comparsa dell’eiaculazione dopo una breve eccitazione, se invece manca di erezione ha una impotenza e quando una donna dichiara di non provare l’orgasmo ha un’anorgasmia. Eiaculazione precoce, impotenza, eiaculazione assente o ritardata ecc. sono considerate nella letteratura specialistica e spesso nella pratica clinica malattie. Così facendo, da un punto di vista terminologico, si ricorre a criteri empirici e prescientifici come quando in medicina si identificava il sintomo più evidente per assegnare un nome alla malattia e da un punto di vista descrittivo si definisce la malattia del medico e non quella dell’ammalato.
La malattia è da intendere come una condizione o status che interessa tutta la persona nella sua globalità psico-fisico-relazionale. La malattia dunque non è semplicemente un sintomo o un insieme di sintomi, ma un particolare modo di essere nel mondo, una nuova dimensione della vita che nasce dalla rottura degli equilibri psicofisiologici capaci di mantenere la persona in uno stato di salute. Eiaculazione precoce come impotenza, anorgasmia ecc. sono sintomi e non malattie.
Così, curare l’impotenza erettile come se si trattasse semplicemente della compromissione dell’evento vascolare che permette la penetrazione vaginale, significa ignorare le componenti emotivo-affettive e relazionali che accompagnano quella compromissione e che nel loro insieme accompagnano lo stato di malattia.
Il termine impotenza comprende tutte le alterazioni della risposta sessuale che assumono significatività per la costituzione dell’essere uomo o donna, si riconoscono quindi un’impotenza sessuale maschile e femminile.

Impotenza sessuale maschile: Incapacità di essere uomo, incapacità che può nascere dalla reale o presunta compromissione di una, alcune o tutte le variabili anatomo-fisiologiche e psicologico-comportamentali che caratterizzano la virilità in un determinato contesto socioculturale.
Impotenza sessuale femminile: Incapacità di essere donna, incapacità che può nascere dalla reale o presunta compromissione di una, alcune o tutte le variabili anatomo-fisiologiche e psicologico-comportamentali che caratterizzano la femminilità in un determinato contesto socioculturale.

Le definizioni sono sovrapponibili e accomunate dal vissuto di inadeguatezza che le caratterizza.
In esse figurano alcune affermazioni che è bene esplicitare.

  1. Reale o presunta compromissione. Non tutti i sintomi che i pazienti segnalano e che rappresentano per loro l’occasione per elaborare un vissuto di inadeguatezza, corrispondono ad una reale compromissione. Alcuni fanno riferimento ad eventi propri della fisiologia che il paziente interpreta erroneamente come manifestazione di insufficienza strutturando uno stato di malattia assolutamente privo di contesto fisiopatologico (malato senza malattia). La perdita dell’erezione dopo svariati tentativi di introduzione resa impossibile dal fatto che la partner reagisce involontariamente con una contrazione spastica della muscolatura dell’ostio vaginale (vaginismo) può essere erroneamente intesa come una compromissione della funzione erettile e sostenere quindi un vissuto d’impotenza.
  2. Tutte le variabili anatomo-fisiologiche e psicologico-comportamentali. Con questa espressione si fa riferimento a quelle componenti della mascolinità o femminilità che caratterizzano l’incontro sessuale e la cui compromissione viene riferita come sintomo. Tali variabili possono essere di ordine:
    • anatomo-patologico (malformazioni, mutilazioni traumatiche o chirurgiche, patologie organiche);
    • fisiologico (erezione, eiaculazione e orgasmo per l’uomo);
    • psicologico (desiderio del rapporto e della coabitazione vaginale, soddisfazione);
    • comportamentale (corteggiamento, conquista, frequenza, durata, abilità erotiche.
  3. In un determinato contesto socioculturale. Ciascuna cultura produce le sue malattie. Le variabili anatomo-fisiologiche e psicologico-comportamentali assumono rilevanza nel definire la sessualità maschile e femminile solo in rapporto ai significati che la cultura attribuisce loro.

Elencherò qui di seguito di altri tipi di impotenza: organica, psichica, mista e impotenza di coppia.

Impotenze organiche

Le impotenze organiche sono sostenute dalla compromissione dello stato generale di sanità e/o dal danno anatomo funzionale di natura morfologica, chirurgica, degenerativa, neoplastica o tossica che colpisce un organo o un apparato. Tale compromissione può impedire totalmente o parzialmente, ma sempre in maniera prevalente rispetto alle concomitanti cause psicologiche, una, alcune o tutte le funzioni che costituiscono la fisiologia della risposta sessuale.
I fattori organici possono influire negativamente sulla risposta sessuale in maniera diversa.

Impotenza psichica

L’impotenza psichica è sostenuta dalle componenti psicologiche intrapersonali e/o relazionali che impediscono lo svolgersi della risposta sessuale le quali, pur dominando sempre il quadro patologico rispetto a concomitanti affezioni organiche, possono assumere un ruolo favorente, determinante, scatenante, di mantenimento o aggravante.
Fattori favorenti. Da un punto di vista intrapersonale possono agire come favorenti la disinformazione sessuale e/o le false conoscenze, l’adesione alle mode o ai miti socialmente costruiti (il maschio superdotato, la femmina pluriorgasmica), le condizioni dell’umore (depressione), una generica insicurezza, l’essere tendenzialmente ansiosi, una storia psicoevolutiva caratterizzata dalla difficoltà a fruire serenamente del piacere (educazione repressa) oppure dall’incerta costruzione dell’identità sessuale o dalla facilità a vivere sensi di colpa. Ha funzione favorente anche la qualità della relazione per la perdita delle potenzialità deduttive, la presenza di malattie fisiche o disturbi psicologici che limitano la disponibilità dell’altro, le modeste e transitorie crisi coniugali.

Impotenze miste

Le impotenze miste sono determinate dalla possibile concomitanza dei fattori organici con quelli psicologici o di quelli intrapersonali con le cause relazionali.

Impotenza sessuale di coppia

L’impotenza sessuale di coppia viene definita come l’incapacità della coppia di avere una soddisfacente vita sessuale per la compromissione della risposta sessuale che può colpire uno, l’altro o entrambi i partner, causata da una struttura relazionale patogena. Anche questa definizione si fonda sulla considerazione del vissuto, seppure non con la stessa frequenza rilevata per l’impotenza individuale, i pazienti usano un linguaggio che può avere significato diagnostico. I membri della coppia che vive un matrimonio bianco usano espressioni come “Non siamo capaci di avere rapporti” oppure “Non siamo una coppia come si deve” o anche “Per noi la sessualità è un problema”; nei casi in cui è la reciproca aggressività a sostenere i disturbi, i segni verbali sono caratterizzati da una precisa formulazione accusatoria: “Mia moglie mi ha spinto a venire perché dice che sono impotente” o “Sono venuto solo per accompagnarla perché è lei che si deve far curare” e infine da parte dell’accusato “Si è vero non abbiamo rapporti, mi spiace, ma non so cosa farci”. Generalmente mancano sensazioni soggettive di incapacità da parte del portatore del sintomo, mostrando di avere l’inconsapevole percezione che il sintomo esprime la compromissione di qualcosa di diverso dalla sua persona. Nel rivolgere l’attenzione anche alla coppia, l’indagine clinica si è arricchita: la rilevazione delle impotenze di coppia è stata pressoché contemporanea ad una diversa sensibilità culturale rispetto ai temi del comunicare e del relazionare che ha interessato il pensiero collettivo e scientifico. Così, per esempio, dagli anni ’70 le persone hanno incominciato a presentarsi in coppia e oggi avviene sempre più di frequente, mentre chi si reca alla consultazione da solo è più disponibile a coinvolgere il partner il quale, a sua volta, raramente oppone resistenze. Ciò non significa che la richiesta comune dei partner sia il segno di un’impotenza di coppia, ma è di certo un richiamo a considerare il loro essere assieme e non solo la sofferenza di uno dei due.

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Bibliografia

  • Rifelli G. (1998), Psicologia e psicopatologia della sessualità. Il Mulino, Bologna.
  • Rifelli G., Moro P. (1989), Sessuologia clinica. Vol 1: Sessuologia generale. CLUEB Editore, Bologna.
  • Rifelli G., Moro P. (1989), Sessuologia clinica. Vol 2: Impotenza sessuale maschile, femminile e di coppia. CLUEB Editore, Bologna.
  • Andolfi M. (2003), La crisi della coppia. Una prospettiva sistemico – relazionale. Raffaello Cortina Editore, Milano.

Quante coppie

In questo articolo riporterò alcune tipologie di coppie disfunzionali, traendo spunto dal libro di Willy Pasini “A che cosa serve la coppia”.
Le tipologie di coppie sono svariate e questo non vuole essere di certo un articolo per ridurre la coppia a delle semplici “etichette”, ma viene scritto sempre con la consapevolezza di poter dare spunti di riflessione a chi lo legge.

Pasini parla di Amore come possesso reciproco.
In queste coppie il piacere di controllare si trasforma in gusto del potere e in conflitti il cui unico obiettivo è non darla vinta all’altro.
Ogni pretesto è buono. L’attività del partner o il suo essere passivo. La sua autonomia o la sua dipendenza. L’ostinazione o l’arrendevolezza, l’amore dell’ordine o la trasandatezza.
In tali coppie, il partner dominante assume di solito atteggiamenti dispotici.
Non solo pretende fedeltà assoluta, ma vorrebbe pure che questa fosse una decisione spontanea dell’altro: insomma ambisce al controllo non solo dei comportamenti, ma anche della mente dell’altro.
Il partner passivo sopporta tutto, ben contento di poter delegare all’altro tutte le decisioni e di vivere sotto la sua protezione. Si tratta però di un meccanismo di potere: la resistenza passiva è solo il modo migliore per dominare il compagno, lasciandosi apparentemente dominare.
In situazioni di ordinaria quotidianità, basta poco per dare inizio all’escalation del litigio.
Lui, per esempio, sarebbe disponibile a preparare la colazione ogni tanto, ma non sopporta che sia la moglie a ordinarglielo.
Dominare per non essere dominati è il pensiero fisso di queste coppie, in cui nessuno prende l’iniziativa perché teme che l’altro possa interpretare il suo approccio come un segno di debolezza e sfruttarlo per avanzare pretese.

Continua parlando di Amore come nutrimento reciproco.
Immaginiamo i partner come madre e figlio: l’una deve continuamente accudire l’altro nei suoi inesauribili bisogni.
Lei trae piacere dal ritorno alla calma del bimbo dopo la poppata, lui dal nutrimento che riceve.
All’interno di questa coppia recita la parte del poppante chi non riesce ad identificarsi nel ruolo materno perché troppe sono le frustrazioni che ha vissuto con la sua vera madre: le funzioni materne che vengono rifiutate sono trasferite sul partner, che deve quindi corrispondere a un’immagine ideale di madre gratificante.

Vi è poi l’Amore inteso come dovere.
Generalmente in queste coppie i due si incontrano per infelicità.
La donna cerca aiuto, secondo un copione che si ripete sempre uguale. L’uomo è stato convinto dalla famiglia a mettere la testa a posto. Lei non è innamorata, ma si sposa pensando che prima o poi arriverà anche l’amore. Lui aspira solo a consolarla, attività che lo condanna a un continuo senso di frustrazione perché, nonostante tutti i suoi tentativi, la compagna non riemerge dal suo stato di insoddisfazione cronica. Quando però è lui che chiede aiuto, perché si è ammalato oppure a causa di difficoltà professionali, lei lo respinge: non vuole e non può dedicare al marito alcuna attenzione materna.

Pasini parla anche di Amore come fusione, parlando di coppia narcisistica.
Dirà di narcisisti è pieno il mondo, li riconosci perché fin dal primo incontro ti fanno sapere tutto di loro, i narcisisti dipendono dall’ammirazione altrui ed è per questo che amano circondarsi di persone la cui unica funzione è riflettere l’immagine di sé come protagonisti.
I narcisisti non riescono a concepire l’altro come individuo autonomo, ma solo come veicolo per un’ulteriore conferma del proprio sé.
Lascio immaginare i risvolti che questo può comportare in una coppia nella quale dall’Io si passa al Noi.

E voi vi siete ritrovati in qualche coppia descritta? Se non vi siete rivisti, come definireste la vostra coppia?
Vi rimando a questi altri articoli dove potrete trovare ulteriori spunti di riflessione Le disfunzioni sessuali nella dinamica di coppia e La coppia diventa famiglia.

Dott.ssa Alice Nucci

Le disfunzioni sessuali nella dinamica di coppia

La sessualità umana non corrisponde, come quella animale, a un insieme di riflessi istintivi tendenti alla procreazione: è un comportamento che coinvolge tutto lo psichismo conscio e inconscio.
Ogni essere umano vive infatti nell’erotismo, soddisfacendone le pulsioni in modo più o meno sublimato.
Non sempre però da adulto raggiunge un’identità positiva che gli permetta una gratificazione sessuale nel rispetto di se stesso e del partner. Ne consegue un comportamento disturbato che può interessare uno o entrambi i componenti della coppia.

Le sessuopatie, clinicamente definite “disfunzioni sessuali”, sono oggi più frequenti del comune raffreddore.
E nell’oltre il 50 per cento dei casi sono psicogene, cioè conseguenza di un’immaturità psicologica. A volte infatti la maturazione affettiva non si accompagna a quella genitale, per cui vi sono uomini e donne adulti dal punto di vista fisico, ma non sul versante affettivo e sessuale.
Mentre le disfunzioni maschili relative a erezione, penetrazione ed eiaculazione sono fatti esterni e quindi evidenti, le defaillances femminili non sono visibili e possono perciò rimanere segrete.

Ma quando mancano il desiderio o il piacere genitale, quando la vagina rimane asciutta e chiusa, quando non si arriva all’orgasmo, anche la donna presenta una disfunzione sessuale.
Si parla di donne anorgasmiche totali, quando non hanno mai provato un orgasmo con un partner o da sole, di “dispaurenia” quando si prova dolore durante il coito, di “vaginismo“, cioè di contrazione involontaria dei muscoli vaginali che impedisce o rende difficile la penetrazione del pene.
La donna può essere disturbata nella sessualità per la presenza di conflittualità patologiche inerenti al suo vissuto infantile e adolescenziale.
Per la sessualità può nutrire sensi di colpa, per questo il piacere che deriva dal rapporto può essere inconsciamente impedito o disturbato, pur essendo desiderato e ricercato sul piano conscio.

Tenendo conto delle diverse definizioni che i vari studiosi danno delle disfunzioni sessuali, non si può non constatare la difficoltà di un’esatta classificazione nosografica delle stesse.
Si prenda, ad esempio, l’eiaculazione precoce. Masters e Johnson definiscono eiaculatore precoce l’uomo che non soddisfa la propria partner per almeno il 50% dei rapporti di coito.
Tale affermazione è però invalidata nel caso in cui la donna presenti difficoltà orgasmiche.
Spostando l’attenzione dall’individuo al sistema di due persone che interagiscono in una relazione sessuale ci poniamo in un’ottica che ci induce a rivedere le nostre interpretazioni della disfunzione sessuale.
E’ anche intuitivamente vero che nessuno può essere definito come afflitto da una disfunzione sessuale se non in rapporto ad un’altra persona e nel contesto di una relazione sessuale.
Quando due persone si incontrano e stabiliscono una relazione hanno dinnanzi a sé una gamma di comportamenti possibili.
Man mano che essi definiscono il loro rapporto, essi elaborano assieme quale tipo di comportamento comunicativo è opportuno per questo rapporto.

La natura dello stesso viene definita dal tipo di messaggi che essi decidono possa essere accettabile.
Tutti i comportamenti comunicativi possibili tra due persone possono essere, in modo sommario, suddivisi in comportamenti che definiscono una relazione simmetrica oppure complementare.
La prima può essere definita come una relazione in cui due persone si scambiano comportamenti dello stesso tipo: ognuno nella relazione prende l’iniziativa, dà giudizi, consiglia, stabilisce ecc, essa tende per definizione ad essere competitiva.
La seconda invece stabilisce un rapporto di complementarietà. Uno ha un tipo di comportamento, l’altro ne ha uno diverso. Uno insegna, l’altro impara, uno parla, l’altro ascolta ecc, uno si trova in posizione one up l’altro one down.

In un rapporto sessuale, affinché possa considerarsi “normale” troveremo entrambi i tipi di relazione, simmetria e complementarietà.
Vi è infatti complementarietà nel dare e ricevere piacere, quindi uno dà e l’altro riceve, alternandosi, anche se simultaneamente. Vi è quindi simmetria in quanto ciascuno reclama o richiede all’altro pari prestazione, si da rimanere soddisfatti entrambi i partner.
Diviene importante leggere le disfunzioni sessuali maschili o femminili che siano, all’interno di una complessa dinamica di coppia che permetta di ampliare la visuale rivolta al singolo.

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Bibliografia

  • “Che cos’è l’amore” l’affetto e la sessualità nel rapporto di coppia, Giacomo Dacquino, 1994, Mondadori.

La violenza in famiglia

«Poiché violenza genera violenza, nella famiglia la violenza tende a
perpetuarsi di generazione in generazione»

– Bowlby –

Per arrivare a comprendere i casi estremi di violenza nella famiglia, può essere utile considerare prima quello che conosciamo dei casi minori ed ordinari che si verificano nella famiglia quando i suoi membri sono presi da sentimenti di rabbia.

I bambini piccoli, e spesso anche i più grandi, sono gelosi in genere dell’attenzione che la madre dà al nuovo nato. Gli amanti litigano se uno pensa che l’altro si stia rivolgendo altrove, e lo stesso vale dopo il matrimonio. Inoltre, una donna può infuriarsi con il figlio se il bambino fa qualcosa come attraversare di corsa la strada, ed anche il marito se questi per affrontare pericoli inutili rischia un arto o la vita.
Quindi diamo per scontato che usualmente, quando il rapporto con una persona particolarmente amata viene messo in pericolo, siamo non solo ansiosi ma anche arrabbiati.
Come risposte alla minaccia della perdita, ansia e rabbia vanno insieme. Non per nulla hanno la stessa radice etimologica. Spesso, nelle situazioni descritte, la rabbia è funzionale. Perciò, nel luogo giusto, al momento giusto ed al livello giusto, la rabbia non solo è appropriata ma può essere indispensabile. In ogni caso, l’obiettivo del comportamento di rabbia è lo stesso: proteggere un rapporto che ha un valore molto particolare per la persona arrabbiata. Stando così le cose, è necessario chiarire perché alcuni rapporti specifici, spesso chiamati rapporti d’amore, debbano divenire così importanti nella vita di ciascuno di noi.
I rapporti specifici, che se minacciati possono suscitare rabbia, sono di tre tipi principali: rapporti con un partner sessuale, fidanzato o coniuge, rapporti con i genitori, rapporti con i figli. Ognuno di questi rapporti è carico di forti emozioni.

La tesi di Bowlby consiste nel considerare gran parte della violenza disadattiva della famiglia come una versione distorta e sproporzionata di un comportamento potenzialmente funzionale, in particolare il comportamento di attaccamento da un lato, ed il comportamento di allevamento dall’altro.
Appare evidente che cure sensibili e amorevoli determinano nel bambino lo svilupparsi della fiducia che gli altri saranno disposti ad aiutarlo se necessario, il divenire sempre più sicuro di sé e coraggioso nell’esplorare il mondo, collaborativo con gli altri, ed anche empatico e di sostegno per altri in difficoltà.
Al contrario, quando al comportamento di attaccamento del bambino si risponde lentamente e malvolentieri, come se si fosse disturbati, il bambino può attaccarsi in modo ansioso e divenire apprensivo per paura che chi lo accudisca scompaia o non sia di aiuto nel momento di bisogno e perciò è restio ad allontanarsi dalla madre, obbedisce malvolentieri ed in modo ansioso ed è indifferente ai problemi altrui. Se inoltre il bambino è rifiutato attivamente dagli adulti che lo accudiscono, può sviluppare un modello di comportamento in cui l’evitamento compare con il desiderio di vicinanza e di cure ed il comportamento di rabbia tende a divenire prominente.

Bambini maltrattati

Considerando gli effetti sullo sviluppo di personalità dei bambini maltrattati, dobbiamo tenere presente che le aggressioni fisiche non sono le uniche forme di ostilità che questi bambini hanno sperimentato da parte dei genitori. In moltissimi casi infatti gli attacchi fisici non sono che la punta dell’iceberg, i segni manifesti di quelli che sono stati gli episodi ripetuti di un rifiuto ostile, verbale e fisico. Perciò nella maggior parte dei casi gli effetti psicologici possono essere considerati come il prodotto di un rifiuto e di un disinteresse prolungato ed ostile. Ciononostante, le esperienze dei singoli bambini possono variare ampiamente.
Alcuni, ad esempio, possono ricevere delle cure materne sufficientemente buone e subire solo raramente esplosioni di violenza da parte di un genitore. Per questi motivi non c’è da sorprendersi del fatto che anche lo sviluppo socioemotivo dei bambini può variare. Qui di seguito vengono descritti alcuni risultati che sembrano essere tipici.
Gli studiosi che hanno osservato questi bambini nelle loro case o altrove li descrivono variamente come depressi, passivi e inibiti, “dipendenti” e ansiosi, arrabbiati e anche aggressivi. Graensbauer e Sands nel confermare questo quadro, sottolineano quanto possa essere disturbante un comportamento del genere per chi si prende cura del bambino. I bambini non riescono a partecipare al gioco e mostrano di divertirsi poco o affatto.
Spesso l’espressione del sentimento è così attenuata che è facile non rilevarla, o altrimenti è ambigua e contrastante. Il pianto può essere prolungato e insensibile al conforto; la rabbia può insorgere rapidamente, violenta e non facilmente risolubile.
Una volta stabiliti, questi schemi tendono a persistere.

Donne maltrattate

Passiamo ora ad esaminare il comportamento degli uomini che maltrattano le loro ragazze o mogli.
L’ipotesi che la maggioranza di uomini sia costituita da bambini maltrattati ora cresciuti è confermata da molte ricerche. Uno studio rilevava che da quanto riferivano le mogli, 51 su 100 uomini violenti erano stati picchiati a loro volta da bambini. Inoltre, 33 su 100 uomini erano stati già accusati di altri reati di violenza. Le ricerche mostrano che la maggioranza di delinquenti violenti proviene da famiglie in cui essi stessi hanno ricevuto un trattamento crudele e brutale.
Infine troviamo che molte delle mogli picchiate provengono da famiglie disturbate e rifiutanti dove in minoranza significativa sono state picchiate da bambine. Queste esperienze le hanno condotte a lasciare la loro casa durante l’adolescenza, a legarsi con quasi il primo uomo conosciuto, proveniente molto spesso da un ambiente simile al loro, e a restare presto incinte. Il doversi occupare di un bambino piccolo crea mille problemi alla ragazza che è impreparata ed ha un attaccamento ansioso; inoltre le attenzioni che rivolge al bambino provocano un’intensa gelosia nel suo partner. Questi sono alcuni dei processi attraverso cui si perpetua un ciclo intergenerazionale di violenza.
I modelli di interazione in alcune di queste famiglie sono risultati abituali: la coppia si separava ripetutamente per ritornare insieme solo dopo pochi giorni o settimane.
Talvolta, dopo le dure parole della moglie, il marito se ne andava per conto suo, per ritornare dopo poco tempo. Oppure la moglie, aggredita fisicamente dal marito, se ne andava con i figli, ma ritornava in pochi giorni alla stessa identica situazione.
Quello che appariva veramente straordinario era la durata di alcuni di questi matrimoni: che cosa teneva uniti i due partner?
È emerso che sebbene apparentemente la scena fosse dominata dalla violenza del marito e dalle parole minacciose e rabbiose della moglie, ogni partner era legato profondamente anche se in modo ansioso all’altro ed aveva sviluppato una strategia per controllare l’altro e per evitare di essere abbandonato.
Venivano utilizzate varie tecniche, soprattutto coercitive, molte delle quali potevano sembrare ad un estraneo di un genere non solo estremo ma controproducente.
Ad esempio, erano frequenti le minacce di abbandono e di suicidio, non erano rari gli atti di suicidio. Questi ultimi producevano in genere l’effetto di assicurarsi rapidamente l’attenzione premurosa del partner anche se facevano insorgere il suo senso di colpa e la sua rabbia. Si è visto che la maggior parte dei tentativi di suicidio erano in reazione ad eventi specifici, in particolare ad abbandono reali o minacciati.
Una tecnica coercitiva, utilizzata soprattutto dagli uomini, consisteva nell'”imprigionare” la moglie chiudendola dentro casa, chiudendo a chiave i suoi vestiti, oppure tenendosi tutti i soldi e facendo la spesa per evitare alla moglie di vedere chiunque altro. L’attaccamento fortemente ambivalente di un uomo che adottava questa tecnica era tale che non solo rinchiudeva la moglie dentro casa, ma la rinchiudeva anche fuori. La buttava fuori casa dicendole di non tornare mai più, ma dopo che lei si trovava per strada, la rincorreva e la portava indietro fino all’appartamento.
Una terza tecnica coercitiva consisteva nel picchiare. Come diceva un uomo, nella sua famiglia le cose si chiedevano sempre con i pugni. Nessuna donna gradiva questo trattamento, ma alcune ne ottenevano una certa soddisfazione. È risultato che nella maggioranza di questi matrimoni, ogni individuo tendeva a sottolineare quanto fosse indispensabile per l’altro, mentre non riconosceva il proprio bisogno del partner. Naturalmente, intendevano per bisogno ciò che Bowlby chiama il desiderio di una figura che li accudisse. Erano terrorizzati soprattutto dalla solitudine.

È proprio perchè in queste famiglie gli schemi tendono a perpetuarsi e le persone vengono coinvolte in rapporti contrastanti e ambivalenti senza esserne pienamente consapevoli che diviene necessario per loro richiedere un aiuto esterno, parlarne con amici, familiari e/o rivolgersi ad un professionista per elaborare assieme tali vissuti.

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Bibliografia

  • La violenza nella famiglia, John Bowlby, Terapia Familiare, 1986.
  • Attaccamento e perdita, John Bowlby, ed. Boringhieri, 1983.

L’altro è diverso

In una coppia all’inizio l’amore è quasi totalmente donato ed in questo senso ha molto dell’amore narcisista, è cioè un sentimento spontaneo che sorge da un incontro profondo di bisogni, interessi, emozioni e fantasie, un sogno che nasce da lontano e guarda lontano. È la fase dell’innamoramento, intessuta di segnali misteriosi, di ponti sospesi su una atmosfera rarefatta, un tempo in cui niente è sicuro, ma tutto è possibile ed il possibile sfiora orizzonti grandiosi. Con il passar del tempo il senso di novità si attenua, si allenta il desiderio di ricerca e di scoperta dell’altro e con esso la carica creativa; subentra l’abitudine, cieca maestra nei rapporti umani, che intrappola le persone in giochi vecchi e scontati. Emergono i difetti reciproci e con essi gli antichi egoismi, le delusioni e l’assurda rivendicazione di voler tutto per l’altro, al di là dell’errore dato. E’ il momento in cui l’amore sognato deve trasformarsi in amore concreto, reale, cha sa misurarsi con le difficoltà del vivere quotidiano, che sa resistere agli inevitabili conflitti di un rapporto umano, un amore non più regalato ma costruito giorno dopo giorno con intelligenza e volontà. E la prima difficoltà da affrontare è il fatto che l’altro è diverso, diverso da come lo si era immaginato, ma comunque diverso perché è altro da sé. La diversità fa sempre paura perché mette in discussione la propria identità, un’identità costruita fra molte incertezze alla quale si rimane tenacemente aggrappati.
In un certo senso occorre un atto di fede per accettare l’altro così come è, una fede che si radica nell’amore. Ma solo chi ha uno spessore sufficiente di personalità ed una buona fiducia in sé stesso, sa accettare sentimenti, convinzioni, abitudini diverse senza tremare; solo chi è flessibile e aperto al nuovo sa accettare un giudizio su di sé. Nella coppia, in particolare, occorre mettere nel conto quella fondamentale diversità che è data dalla differenza sessuale. Infatti il fisicità si riversa nello psichico e lo determina in gran parte. Si possono, a questo riguardo, individuare alcune linee di tendenza dell’identità maschile e di quella femminile, ma occorre tenere presente che le caratteristiche che si tenta, qui di seguito, di mettere in luce possono essere clamorosamente influenzati dall’affettività. L’uomo è portato alle visioni globali della realtà, ma possono sfuggirgli i particolari; la donna tende ad essere analitica e selettiva, ma proprio per questo rischia di non cogliere le vedute di insieme e i rapporti tra le parti. L’uomo, ancora, è più proiettato all’esterno, in genere nutre interessi sociali più marcati, ma fa fatica a percepire i suoi sentimenti ed ad analizzarli. La donna è naturalmente più introspettiva, più intuitiva, più centrata sui sentimenti e capace di una ricca dialettica nel settore affettivo al punto che il suo partner, di fronte alle sottili argomentazioni femminili, nel timore di dimostrarsi inferiore, può chiudersi in un ostinato silenzio, o peggio, punire l’altra con una serie ben calcolata di dispetti, che d’altra parte difficilmente possono essere razionalizzati. L’uomo tende alla conquista, al dominio; la donna può essere portata a desiderare sostegno e protezione, ma a questo riguardo possono nascere molte ambiguità, perché è anche vero che una delle massime aspirazioni della donna è quella di avere un’influenza determinante sul suo uomo e di essere il perno della famiglia. La donna inoltre tende a centrare i figli su di sé ed ha le doti per farlo; purtroppo quando il rapporto di coppia è fortemente conflittuale questa sua tendenza può avere conseguenze drammatiche per i figli. A questo si aggiunga la sostanziale diversità in cui viene vissuto il rapporto sessuale che prima di giungere a sentimenti di profonda donazione in cui i due partner possono sentirsi simili, percorre strade e tentativi diversi. Le diversità appena accennate costituiscono solo alcuni esempi della ricca gamma di differenziazione, che possono scaturire dal solo fatto della diversità sessuale. Poi naturalmente, occorre mettere nel conto tutte le altre differenze derivanti dalle tendenze costituzionali, dalle storie vissute innanzi tutto nelle famiglie di origine e nei diversi ambienti di vita, dagli incontri, dalle culture, dalle abitudini e da tutto ciò che ha formato il carattere e la personalità. Un posto di rilievo, ovviamente, ce l’hanno le identificazioni introiettate in famiglia e la conseguente tendenza a fare proiezioni e cioè attribuire al’altro sentimenti, idee, motivazioni di comportamento che in realtà rientrano solo nella storia personale di chi giudica. Infatti i rapporti vissuti in famiglia hanno determinato in gran parte la formazione della personalità, la costruzione non solo di un’immagine di sé, ma anche di un’immagine di partner e di un modello di rapporto di coppia. Ora, comunque siano stati tali rapporti, condizionano in modo nascosto ma tenacissimo i sentimenti ed il comportamento dei due partners, sia per imitazione che per reazione. Naturalmente per conoscere ed elaborare tali diversità occorre molto tempo ed impegno. L’attrazione sessuale ed affettiva che spinge un ragazzo ed una ragazza l’uno verso l’altro è uno dei più potenti dinamismi della vita. Ma tale attrazione iniziale deve rimandare innanzi tutto a se stessa, a rivedersi, a scoprirsi, a migliorare, deve avviare cioè ad un autentico sviluppo di personalità. Parallelamente incita ad approfondire con sempre maggior interesse e rispetto la conoscenza dell’altro. L’amore presuppone l’incontro di due libertà e perciò di due persone mature e consapevoli. Non esiste vero amore che non sia reciproco. L’amore a senso unico, per forte che sia, non è che una via senza uscita. Per tutto questo l’amore vero non può nascere in pochi giorni e neppure in pochi mesi. Richiede molto tempo. Il dono di sé all’altro, l’accettazione dell’altro in sé non sono mai completi, mai dati una volta per sempre. Il dono dell’amore tende per sua natura ad essere ripetuto. Il dinamismo dell’amore non si dispiega con pienezza che nel tempo: a forza di impazienze superate, di scoraggiamenti accettati, di gioie e di entusiasmi condivisi.