Sessualità e impotenza

In quale periodo dell’evoluzione sessuale abbia avuto luogo la nascita della coppia non è dato sapere, ma i paleontologi ritengono che la collaborazione di vita fra l’uomo e la donna abbia avuto inizio proprio nelle popolazioni presso le quali gli aspetti genitali e cerebrali dell’attività sessuale erano tali da indurre le coppie a restare unite almeno per il tempo necessario ad allevare la prole e a costituire una famiglia. E questa operazione vitale non poteva essere raggiunta senza l’uso di un linguaggio.
Alla base della coppia c’è l’attrazione dei sessi, potente, fondamentale, che ha come fine biologico la perpetuazione della specie. Ma non solo, visto che la sessualità umana non è essenzialmente “genitale” ma anche psicologica.

Continuando a parlare di sessualità, riteniamo affetto da eiaculazione precoce l’uomo che lamenta la comparsa dell’eiaculazione dopo una breve eccitazione, se invece manca di erezione ha una impotenza e quando una donna dichiara di non provare l’orgasmo ha un’anorgasmia. Eiaculazione precoce, impotenza, eiaculazione assente o ritardata ecc. sono considerate nella letteratura specialistica e spesso nella pratica clinica malattie. Così facendo, da un punto di vista terminologico, si ricorre a criteri empirici e prescientifici come quando in medicina si identificava il sintomo più evidente per assegnare un nome alla malattia e da un punto di vista descrittivo si definisce la malattia del medico e non quella dell’ammalato.
La malattia è da intendere come una condizione o status che interessa tutta la persona nella sua globalità psico-fisico-relazionale. La malattia dunque non è semplicemente un sintomo o un insieme di sintomi, ma un particolare modo di essere nel mondo, una nuova dimensione della vita che nasce dalla rottura degli equilibri psicofisiologici capaci di mantenere la persona in uno stato di salute. Eiaculazione precoce come impotenza, anorgasmia ecc. sono sintomi e non malattie.
Così, curare l’impotenza erettile come se si trattasse semplicemente della compromissione dell’evento vascolare che permette la penetrazione vaginale, significa ignorare le componenti emotivo-affettive e relazionali che accompagnano quella compromissione e che nel loro insieme accompagnano lo stato di malattia.
Il termine impotenza comprende tutte le alterazioni della risposta sessuale che assumono significatività per la costituzione dell’essere uomo o donna, si riconoscono quindi un’impotenza sessuale maschile e femminile.

Impotenza sessuale maschile: Incapacità di essere uomo, incapacità che può nascere dalla reale o presunta compromissione di una, alcune o tutte le variabili anatomo-fisiologiche e psicologico-comportamentali che caratterizzano la virilità in un determinato contesto socioculturale.
Impotenza sessuale femminile: Incapacità di essere donna, incapacità che può nascere dalla reale o presunta compromissione di una, alcune o tutte le variabili anatomo-fisiologiche e psicologico-comportamentali che caratterizzano la femminilità in un determinato contesto socioculturale.

Le definizioni sono sovrapponibili e accomunate dal vissuto di inadeguatezza che le caratterizza.
In esse figurano alcune affermazioni che è bene esplicitare.

  1. Reale o presunta compromissione. Non tutti i sintomi che i pazienti segnalano e che rappresentano per loro l’occasione per elaborare un vissuto di inadeguatezza, corrispondono ad una reale compromissione. Alcuni fanno riferimento ad eventi propri della fisiologia che il paziente interpreta erroneamente come manifestazione di insufficienza strutturando uno stato di malattia assolutamente privo di contesto fisiopatologico (malato senza malattia). La perdita dell’erezione dopo svariati tentativi di introduzione resa impossibile dal fatto che la partner reagisce involontariamente con una contrazione spastica della muscolatura dell’ostio vaginale (vaginismo) può essere erroneamente intesa come una compromissione della funzione erettile e sostenere quindi un vissuto d’impotenza.
  2. Tutte le variabili anatomo-fisiologiche e psicologico-comportamentali. Con questa espressione si fa riferimento a quelle componenti della mascolinità o femminilità che caratterizzano l’incontro sessuale e la cui compromissione viene riferita come sintomo. Tali variabili possono essere di ordine:
    • anatomo-patologico (malformazioni, mutilazioni traumatiche o chirurgiche, patologie organiche);
    • fisiologico (erezione, eiaculazione e orgasmo per l’uomo);
    • psicologico (desiderio del rapporto e della coabitazione vaginale, soddisfazione);
    • comportamentale (corteggiamento, conquista, frequenza, durata, abilità erotiche.
  3. In un determinato contesto socioculturale. Ciascuna cultura produce le sue malattie. Le variabili anatomo-fisiologiche e psicologico-comportamentali assumono rilevanza nel definire la sessualità maschile e femminile solo in rapporto ai significati che la cultura attribuisce loro.

Elencherò qui di seguito di altri tipi di impotenza: organica, psichica, mista e impotenza di coppia.

Impotenze organiche

Le impotenze organiche sono sostenute dalla compromissione dello stato generale di sanità e/o dal danno anatomo funzionale di natura morfologica, chirurgica, degenerativa, neoplastica o tossica che colpisce un organo o un apparato. Tale compromissione può impedire totalmente o parzialmente, ma sempre in maniera prevalente rispetto alle concomitanti cause psicologiche, una, alcune o tutte le funzioni che costituiscono la fisiologia della risposta sessuale.
I fattori organici possono influire negativamente sulla risposta sessuale in maniera diversa.

Impotenza psichica

L’impotenza psichica è sostenuta dalle componenti psicologiche intrapersonali e/o relazionali che impediscono lo svolgersi della risposta sessuale le quali, pur dominando sempre il quadro patologico rispetto a concomitanti affezioni organiche, possono assumere un ruolo favorente, determinante, scatenante, di mantenimento o aggravante.
Fattori favorenti. Da un punto di vista intrapersonale possono agire come favorenti la disinformazione sessuale e/o le false conoscenze, l’adesione alle mode o ai miti socialmente costruiti (il maschio superdotato, la femmina pluriorgasmica), le condizioni dell’umore (depressione), una generica insicurezza, l’essere tendenzialmente ansiosi, una storia psicoevolutiva caratterizzata dalla difficoltà a fruire serenamente del piacere (educazione repressa) oppure dall’incerta costruzione dell’identità sessuale o dalla facilità a vivere sensi di colpa. Ha funzione favorente anche la qualità della relazione per la perdita delle potenzialità deduttive, la presenza di malattie fisiche o disturbi psicologici che limitano la disponibilità dell’altro, le modeste e transitorie crisi coniugali.

Impotenze miste

Le impotenze miste sono determinate dalla possibile concomitanza dei fattori organici con quelli psicologici o di quelli intrapersonali con le cause relazionali.

Impotenza sessuale di coppia

L’impotenza sessuale di coppia viene definita come l’incapacità della coppia di avere una soddisfacente vita sessuale per la compromissione della risposta sessuale che può colpire uno, l’altro o entrambi i partner, causata da una struttura relazionale patogena. Anche questa definizione si fonda sulla considerazione del vissuto, seppure non con la stessa frequenza rilevata per l’impotenza individuale, i pazienti usano un linguaggio che può avere significato diagnostico. I membri della coppia che vive un matrimonio bianco usano espressioni come “Non siamo capaci di avere rapporti” oppure “Non siamo una coppia come si deve” o anche “Per noi la sessualità è un problema”; nei casi in cui è la reciproca aggressività a sostenere i disturbi, i segni verbali sono caratterizzati da una precisa formulazione accusatoria: “Mia moglie mi ha spinto a venire perché dice che sono impotente” o “Sono venuto solo per accompagnarla perché è lei che si deve far curare” e infine da parte dell’accusato “Si è vero non abbiamo rapporti, mi spiace, ma non so cosa farci”. Generalmente mancano sensazioni soggettive di incapacità da parte del portatore del sintomo, mostrando di avere l’inconsapevole percezione che il sintomo esprime la compromissione di qualcosa di diverso dalla sua persona. Nel rivolgere l’attenzione anche alla coppia, l’indagine clinica si è arricchita: la rilevazione delle impotenze di coppia è stata pressoché contemporanea ad una diversa sensibilità culturale rispetto ai temi del comunicare e del relazionare che ha interessato il pensiero collettivo e scientifico. Così, per esempio, dagli anni ’70 le persone hanno incominciato a presentarsi in coppia e oggi avviene sempre più di frequente, mentre chi si reca alla consultazione da solo è più disponibile a coinvolgere il partner il quale, a sua volta, raramente oppone resistenze. Ciò non significa che la richiesta comune dei partner sia il segno di un’impotenza di coppia, ma è di certo un richiamo a considerare il loro essere assieme e non solo la sofferenza di uno dei due.

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Bibliografia

  • Rifelli G. (1998), Psicologia e psicopatologia della sessualità. Il Mulino, Bologna.
  • Rifelli G., Moro P. (1989), Sessuologia clinica. Vol 1: Sessuologia generale. CLUEB Editore, Bologna.
  • Rifelli G., Moro P. (1989), Sessuologia clinica. Vol 2: Impotenza sessuale maschile, femminile e di coppia. CLUEB Editore, Bologna.
  • Andolfi M. (2003), La crisi della coppia. Una prospettiva sistemico – relazionale. Raffaello Cortina Editore, Milano.

Le famiglie omogenitoriali

Sempre più comune sta diventando l’esperienza delle famiglie ricomposte dopo una separazione, in cui, in come si ridefiniscono le relazioni di cura intorno ad un bambino e in come viene condivisa la responsabilità genitoriale, possono assumere grande importanza anche i nuovi partner dei genitori biologici.
Le famiglie omogenitoriali, scegliendo di fare i genitori senza poter fornire una riproduzione della coppia biologica differenziata per sesso, sembrano semplicemente rendere più evidente quella variabilità ed incertezza dei confini della genitorialità che di fatto è già parte dei modi in cui crescono i bambini.
La questione della riproduzione biologica come fondamento della genitorialità, rimanda all’assunto sulla famiglia adeguata che le esperienze omogenitoriali mettono in discussione: l’idea che la coppia genitoriale debba fondarsi sulla differenza di sesso, essere incarnata da un corpo femminile, la mamma, e uno maschile, il papà.
Sembra essere questa “la minaccia” fondamentale di cui le famiglie omogenitoriali sono considerate responsabili: mettere disordine nella riproduzione delle differenze di genere nella società.
La ricerca sulle famiglie omosessuali, o sulle esperienze genitoriali di gay e lesbiche, si è sviluppata proprio a partire dai pregiudizi diffusi nella percezione sociale e dai rischi evocati nel dibattito pubblico rispetto a queste esperienze.
Primo obiettivo della ricerca empirica ė stato quello di verificare se gay e lesbiche – o le coppie dello stesso sesso – fossero genitori adeguati per un bambino.
Approfondite ricerche psicologiche negli ultimi vent’anni hanno messo a confronto figli cresciuti in contesti diversi (coppie eterosessuali e dello stesso sesso, genitori soli eterosessuali ed omosessuali), indagando diverse dimensioni rispetto a cui si evocavano possibili effetti negativi della genitorialità omosessuale: lo sviluppo di genere e sessuale, quello emotivo e quello sociale.
Si tratta in alcuni casi di ricerche longitudinali che hanno seguito questi figli anche oltre l’adolescenza.
I risultati di queste ricerche, ormai generalmente condivisi, non hanno mostrato differenze sostanziali rispetto a queste dimensioni e complessivamente al benessere dei bambini.
La risposta oggi comunemente accettata dalla comunità scientifica internazionale è dunque che genitori gay e lesbiche sono altrettanto adeguati rispetto a quelli eterosessuali, sia come singoli che come coppie.
Allargando lo sguardo, dall’attenzione al benessere e allo sviluppo psicosessuale del bambino, alle specificità delle famiglie omogenitoriali come contesto educativo, si sono sviluppate anche analisi più sociologiche. Tra queste grande impatto ha avuto la riflessione di Stacey e BIblarz, ampiamente ripresa anche in Italia
La loro proposta è stata di considerare gli elementi di “diversità” delle famiglie omogenitoriali non come potenziali pericoli, ma anche per i loro possibili aspetti positivi per la crescita dei bambini e più in generale per la società.
I figli che crescono con genitori omosessuali sembrano infatti mostrare maggiore apertura verso le differenze e capacità critica nel mettere in discussione stereotipi e pregiudizi; inoltre sembrano riprodurre in modo meno forte i ruoli di genere tradizionali.
L’aspetto problematico nel rapporto di queste famiglie con il contesto è piuttosto quello dell’assenza di riconoscimento istituzionale. La mancanza di un quadro di certezze del diritto in Italia resta comunque il principale fattore di vulnerabilità di figli e dei genitori in queste famiglie.

Bibliografia

  • “Maestra, ma Sara ha due mamme?” a cura di Alessandra Gigli, Edizioni Guerini, 2011.

Sessualità e disabilità

Iniziamo da qui, vostro figlio ha una disabilità.
Questo non è un argomento del tipo: “E  allora?”.
Una disabilità fa, nei fatti, una differenza, ma non la differenza che le persone sembrano pensare.
Vuol dire solo che vostro figlio potrà impiegare più tempo ad apprendere alcune cose rispetto agli altri bambini, in alcuni casi, molto di più.
Significa anche che potrebbe avere una disabilità molto evidente su cui gli altri faranno ipotesi per tutta la sua vita. Una disabilità fisica o cognitiva può comportare capacità di adattamento e intervento.
Significa anche che vostro figlio avrà bisogno di mettere da parte una quantità maggiore di amore e senso di accettazione per affrontare ciò a cui andrà incontro.
Ma, come mai stiamo parlando di questo quando l’argomento è la sessualità? Per capire la sessualità, è necessario capire l’amore.
Per capire l’amore occorre comprendere i legami.
Per comprendere i legami si deve comprendere l’amore incondizionato.
Toccare e parlare, accarezzare, sussurrare e sfiorare: le primissime lezioni che i bambini hanno bisogno di imparare è che essi sono essere preziosi e desiderabili.
Purtroppo studi dimostrano che i genitori toccano e parlano meno ai bambini percepiti come indesiderabili e poco attraenti. Questo è un duro fatto da affrontare.

Sono più di vent’anni che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha richiesto uno studio esaustivo della sessualità umana all’interno del contesto dei rapporti umani.
Le persone disabili prendono coscienza del funzionamento sessuale del loro corpo spesso molto tardi nella vita rispetto ai loro coetanei non disabili.
E, a volte, nulla viene spiegato loro.
Alcune persone hanno opinioni inesatte sui propri corpi e l’ignoranza li conduce alla cattiva informazione e alla possibilità di essere abusati sessualmente (Ludwig e Hingsburger,1993).
Le persone che possono valersi di un’accurata informazione sulla sessualità sono molto meno soggette ad essere vittime di violenza rispetto a quelle che non ne hanno possibilità (Senn, 1988).
Capirete che insegnare la sessualità ad una persona con disabilità cognitiva va oltre il fargli recitare correttamente i nomi delle parti del corpo o il sapere come si fanno i bambini.
Crediamo sia importante integrare gli aspetti fisici, emotivi e sociali della sessualità in quello che si insegna.
La gente ha bisogno anche di capire i comportamenti e i valori in gioco ed apprendere le abilità pratiche per rispondere alle diverse situazioni.

Ad esempio quando una ragazza impara a conoscere il suo seno, deve sapere che:

  • il seno ha uno scopo funzionale ed estetico (aspetto fisico)
  • il seno è una parte privata del corpo (aspetto sociale)
  • ci sono modi di rifiutare le proposte indesiderate se qualcuno prova a toccare il suo seno (abilità)
  • se qualcuno prova a toccare il suo seno, lei potrebbe sentirsi a disagio (aspetto emotivo).

Ci sono altre questioni da considerare coi ragazzi con disabilità:

  1. L’adolescenza dei ragazzi con disabilità cognitive è perfettamente sovrapponibile a quella di tutti i ragazzi. Si verificano identici cambiamenti emotivi, fisici e sociali.
    In particolare i cambiamenti emotivi tipici dell’adolescenza possono essere particolarmente complessi da affrontare per i ragazzi disabili, poiché il loro nascente interesse sessuale verso altre persone può incontrare intensi rifiuti.
  2. Il sentirsi impreparati di fronte agli sconvolgimenti tipici dell’adolescenza dei ragazzi con disabilità cognitive sembra essere collegato ad un significativo aumento di problematiche psicologiche, particolarmente di carattere emotivo e comportamentale.
    Possono presentarsi difficoltà crescenti: a partire da un rifiuto a scuola, luogo dove emerge chiaramente la differenza con i coetanei, si può arrivare ad un quadro clinico di grave depressione e disistima di sé.
  3. L’educazione sessuale risulta fondamentale per gli adolescenti con disabilità cognitive. Sobsey (1994) ha messo in evidenza che le persone disabili presentano un rischio di essere abusate da due a più di cinque volte maggiore rispetto alla popolazione generale. In questa direzione, l’educazione sessuale facilita la messa in atto di comportamenti sicuri e può consentire alle persone disabili di raccontare un’esperienza di abuso.
  4. Le persone con disabilità cognitive sono capaci di amare, di sposarsi e di provare piacere sessuale. C’è bisogno di un messaggio equilibrato. La sessualità e i rapporti sessuali sono davvero possibili e desiderabili. Molte persone con disabilità cognitive si sono sposate con successo e sono state dei buoni genitori.

L’infanzia dei bambini con disabilità cognitive è diversa da quella degli altri bambini.
La differenza più rilevante, tuttavia, non si trova nel vostro bambino ma in coloro che lo circondano.
Dovete essere certi che gli altri ascoltino il modo in  cui parlate a vostro figlio e capiscano come vi aspettate che gli parlino.
In questo caso, non dovete tenere in considerazione il contenuto delle vostre parole, ma il tono della voce con il quale le pronunciate.
Ricordate inoltre il concetto fondamentale di autoconsapevolezza, che è alla base di una sana sessualità.
Questo si compone di due elementi: sono amato e sono accettato.

Parliamo di omosessualità

Uscire allo scoperto, cioè non nascondere la propria omosessualità, è un processo che può comportare diversi passaggi: ammettere con se stessi di essere gay, conoscere altri omosessuali, dirlo ai familiari e agli amici, prendere parte a una manifestazione per i diritti degli omosessuali.
Uscire allo scoperto significa lasciarsi alle spalle certi sentimenti che provavamo prima come la vergogna, i sensi di colpa, l’odio per noi stessi. Significa rafforzare il nostro senso di identità e tener testa a chi reagisce male al fatto che siamo apertamente quello che siamo.

Per alcuni è difficile trovare una parola che definisca la loro sessualità.
A volte perché non sono ancora pienamente consapevoli delle loro emozioni e inclinazioni.
Alcune persone non intendono definirsi né omosessuali, né eterosessuali, né bisessuali. Altre preferiscono aspettare di aver fatto più esperienze per capire che cosa gli piace e quali rapporti sono significativi per loro.
Prima di tutto occorre uscire allo scoperto con se stessi, questo è il primo passo.
In certi casi il riconoscimento della propria omosessualità sembra una scoperta così esaltante che si vorrebbe gridarlo ai quattro venti.
Ma è importante rifletterci e prepararsi a poco a poco a dirlo agli amici e ai familiari. Può essere doloroso tenere nascosta una cosa come questa alle persone che ti conoscono e ti vogliono bene, ma è più doloroso affrettare troppo i tempi.
Non lasciarti indurre da nessuno e da nessuna circostanza a uscire allo scoperto prima di sentirti abbastanza forte e abbastanza tranquillo/a circa la tua identità da poter far fronte alle reazioni della gente.
Sei tu l’unico/a che può decider quando è tempo di dirlo alle persone di cui ti importa. Se ti trovi in una fase di ribellione contro i genitori, la tentazione di “uscire allo scoperto” solo come gesto di provocazione può essere forte, ma non è una buona idea.
Dichiararsi omosessuali può comportare grossi cambiamenti nella vita di una persona ed è quindi importante fare le cose con calma.
Conviene cominciare col dirlo alle persone che ti conoscono meglio e che ti vogliono bene.
Poiché i genitori e la famiglia occupano un posto molto importante nella vita di ciascuno di noi, verrà il momento in cui sentirai il bisogno di dirgli chi sei e che cosa provi.
Anche per i genitori l’uscita allo scoperto di un figlio o una figlia adolescenti può essere un’esperienza difficile.
I genitori che reagiscono negativamente alla rivelazione dei figli spesso hanno in mente dei pregiudizi verso gli omosessuali e forse temono che la società dia la “colpa” a loro, come spesso accade ai genitori quando i loro figli sono “diversi” o anticonformisti.
Oppure possono pensare di avere “sbagliato” qualcosa nell’educazione dei figli.
O si preoccupano delle reazioni degli amici o dei loro stessi genitori, o si sentono delusi perché avrebbero voluto avere dei nipotini.
A volte sono preoccupati perché sanno che certa gente potrà rendergli la vita più dura a causa della loro omosessualità.
In alcuni casi si tratta di preoccupazioni che richiedono tempo per essere chiarite e superate, certo è che è un grande sollievo per tutti se i genitori riescono ad accettare l’omosessualità dei propri figli; spesso dietro la disapprovazione e i litigi può esserci molto amore.
Uno psicoterapeuta può accogliere la richiesta di aiuto della persona, le preoccupazioni e i dubbi, può aiutare a chiarirne i sentimenti ed esprimere/gestire le proprie emozioni.
Certo che gli psicoterapeuti che ancora pensano di “curare” dall’omosessualità, cambiando l’orientamento e l’inclinazione della persona, non sono affatto utili per il percorso di conoscenza e di scoperta della stessa.

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Riferimenti bibliografici

  • “Cambia il corpo, cambia la vita” di Ruth Bell, Ed. Feltrinelli, 1982.

Le disfunzioni sessuali nella dinamica di coppia

La sessualità umana non corrisponde, come quella animale, a un insieme di riflessi istintivi tendenti alla procreazione: è un comportamento che coinvolge tutto lo psichismo conscio e inconscio.
Ogni essere umano vive infatti nell’erotismo, soddisfacendone le pulsioni in modo più o meno sublimato.
Non sempre però da adulto raggiunge un’identità positiva che gli permetta una gratificazione sessuale nel rispetto di se stesso e del partner. Ne consegue un comportamento disturbato che può interessare uno o entrambi i componenti della coppia.

Le sessuopatie, clinicamente definite “disfunzioni sessuali”, sono oggi più frequenti del comune raffreddore.
E nell’oltre il 50 per cento dei casi sono psicogene, cioè conseguenza di un’immaturità psicologica. A volte infatti la maturazione affettiva non si accompagna a quella genitale, per cui vi sono uomini e donne adulti dal punto di vista fisico, ma non sul versante affettivo e sessuale.
Mentre le disfunzioni maschili relative a erezione, penetrazione ed eiaculazione sono fatti esterni e quindi evidenti, le defaillances femminili non sono visibili e possono perciò rimanere segrete.

Ma quando mancano il desiderio o il piacere genitale, quando la vagina rimane asciutta e chiusa, quando non si arriva all’orgasmo, anche la donna presenta una disfunzione sessuale.
Si parla di donne anorgasmiche totali, quando non hanno mai provato un orgasmo con un partner o da sole, di “dispaurenia” quando si prova dolore durante il coito, di “vaginismo“, cioè di contrazione involontaria dei muscoli vaginali che impedisce o rende difficile la penetrazione del pene.
La donna può essere disturbata nella sessualità per la presenza di conflittualità patologiche inerenti al suo vissuto infantile e adolescenziale.
Per la sessualità può nutrire sensi di colpa, per questo il piacere che deriva dal rapporto può essere inconsciamente impedito o disturbato, pur essendo desiderato e ricercato sul piano conscio.

Tenendo conto delle diverse definizioni che i vari studiosi danno delle disfunzioni sessuali, non si può non constatare la difficoltà di un’esatta classificazione nosografica delle stesse.
Si prenda, ad esempio, l’eiaculazione precoce. Masters e Johnson definiscono eiaculatore precoce l’uomo che non soddisfa la propria partner per almeno il 50% dei rapporti di coito.
Tale affermazione è però invalidata nel caso in cui la donna presenti difficoltà orgasmiche.
Spostando l’attenzione dall’individuo al sistema di due persone che interagiscono in una relazione sessuale ci poniamo in un’ottica che ci induce a rivedere le nostre interpretazioni della disfunzione sessuale.
E’ anche intuitivamente vero che nessuno può essere definito come afflitto da una disfunzione sessuale se non in rapporto ad un’altra persona e nel contesto di una relazione sessuale.
Quando due persone si incontrano e stabiliscono una relazione hanno dinnanzi a sé una gamma di comportamenti possibili.
Man mano che essi definiscono il loro rapporto, essi elaborano assieme quale tipo di comportamento comunicativo è opportuno per questo rapporto.

La natura dello stesso viene definita dal tipo di messaggi che essi decidono possa essere accettabile.
Tutti i comportamenti comunicativi possibili tra due persone possono essere, in modo sommario, suddivisi in comportamenti che definiscono una relazione simmetrica oppure complementare.
La prima può essere definita come una relazione in cui due persone si scambiano comportamenti dello stesso tipo: ognuno nella relazione prende l’iniziativa, dà giudizi, consiglia, stabilisce ecc, essa tende per definizione ad essere competitiva.
La seconda invece stabilisce un rapporto di complementarietà. Uno ha un tipo di comportamento, l’altro ne ha uno diverso. Uno insegna, l’altro impara, uno parla, l’altro ascolta ecc, uno si trova in posizione one up l’altro one down.

In un rapporto sessuale, affinché possa considerarsi “normale” troveremo entrambi i tipi di relazione, simmetria e complementarietà.
Vi è infatti complementarietà nel dare e ricevere piacere, quindi uno dà e l’altro riceve, alternandosi, anche se simultaneamente. Vi è quindi simmetria in quanto ciascuno reclama o richiede all’altro pari prestazione, si da rimanere soddisfatti entrambi i partner.
Diviene importante leggere le disfunzioni sessuali maschili o femminili che siano, all’interno di una complessa dinamica di coppia che permetta di ampliare la visuale rivolta al singolo.

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Bibliografia

  • “Che cos’è l’amore” l’affetto e la sessualità nel rapporto di coppia, Giacomo Dacquino, 1994, Mondadori.

Cosa sappiamo sui disturbi d’identità di genere?

Secondo il DSM IV quando si parla di disturbi d’identità di genere si intende un’ intensa e persistente identificazione con il sesso opposto, associata a persistente e intenso malessere riguardante la propria assegnazione sessuale.

Freud ad inizio secolo, aveva ipotizzato uno sviluppo “psicosessuale” complesso a partire da una fase di indifferenziazione (bisessualità congenita); non è affatto scontato il percorso che ci porta a divenire soggetti sessuali.

Nei bambini l’identificazione con il sesso opposto si manifesta con un eccessivo interesse per le attività femminili, come indossare abiti femminili, essere attratti da giochi femminili, tipo bambole,interpretare ruoli femminili ed evitare quelli maschili. Manifestare il desiderio di essere bambine, urinare seduti o fingere (desiderare) di non avere il pene, sostenere che gli attributi maschili sono disgustosi e che cadranno o che verranno tolti.

Per le bambine si manifestano intense reazioni negative nei confronti delle aspettative genitoriali, come evitare di portare abiti femminili o portare capelli corti e mascolini, preferire eroi maschili e preferire giocare con i maschi, rifiutare di urinare sedute, sostenere di avere il pene, di non volere le mammelle e le mestruazioni, sostenere apertamente che quando sarà adulta sarà o diventerà un uomo.

Negli adolescenti e adulti può essere presente il desiderio di vivere come membro del sesso opposto e desiderare o utilizzare trattamenti ormonali e/o operazioni chirurgiche per raggiungere tale scopo. Sono infastiditi dall’essere classificati secondo il loro genere sessuale, adottano comportamenti e vestiti del sesso opposto, tentano di farsi passare per soggetti dell’altro sesso, l’attività sessuale è condita da fantasie omosessuali. Tutto questo causa disagio o compromissione nell’area sociale o lavorativa.

La persona che ha raggiunto la consapevolezza di un disagio profondo e non più eludibile può rivolgersi a un professionista nella speranza che sia in grado di aiutarlo ad affrontare le proprie problematiche e a “dare un nome” al proprio disagio; la richiesta implicita sembra quella di essere inclusi in una categoria diagnostica che, per quanto limitante, possa rivelarsi comunque rassicurante rispetto ad un malessere profondo e confuso cui non si riesce a dare né senso né nome.

Quando il primo contatto avviene con uno psicologo, spesso la richiesta evolve in una psicoterapia, affinché la persona possa chiarire a se stessa il senso del proprio disagio esistenziale e delle limitazioni ad esso connesse. Nel percorso terapeutico è fondamentale dare spazio alla persona perché possa sostenere il dubbio per il periodo necessario per potersi identificare in maniera unica ed individuale come essere umano con le sue caratteristiche personali prima ancora che con il suo genere.

Lo scopo dell’intervento psicologico è quello di accrescere la consapevolezza della persona sofferente cioè quello di fare luce sulle sue paure, sui suoi desideri più autentici, sulle motivazioni della sua sofferenza o del disagio che sta vivendo. Lo psicologo non è tenuto ad adottare le cosiddette “terapie riparative” volte a modificare l’orientamento sessuale dell’ individuo.

Qualora invece l’individuo si rivolga allo psicologo avendo già intrapreso l’iter di RCS (riattribuzione chirurgica di sesso), si può iniziare un percorso di sostegno psicologico che accompagni la persona durante l’iter stesso.