La donna, anche se nei primi due anni di vita del figlio è soprattutto una mamma, fa parte comunque della coppia coniugale e non sempre questa doppia appartenenza procede in modo armonioso.
In un certo senso tutto ciò che turba i rapporti coniugali turba anche quelli materni e il figlio, che si trova nel punto d’intersezione delle coordinate, può venire sottoposto a tensioni non sempre tollerabili.
Nei primi tempi è la mamma che dovrebbe adattarsi al figlio. Se questo non avviene, sarà il bambino a adattarsi alla madre, sottoponendosi a uno sforzo eccessivo per la sua età.
Quando il piccolo, che non sa ancora parlare, si sente dimenticato o incompreso, reagisce con l’unico linguaggio che possiede, quello del corpo. I sintomi “parlano” per lui e molti disturbi dei neonati – come il pianto, l’insonnia, la diarrea, il vomito, le dermatiti atipiche- cessano di manifestarsi appena si comprende che cosa intendono esprimere e si risponde in modo adeguato.
Non solo adottando comportamenti più attenti, ma anche rassicurando il bambino con frasi come: “Ho capito che ti senti solo, ma ora ti starò più vicina, mi prenderò più cura di te. Sai la mamma in questi giorni è un po’ turbata perché papà è andato via, ma vedrai che domani verrà a prenderti e giocherete assieme”.
In questo modo si colloca il piccolo nella posizione di soggetto, anziché di oggetto, e si conferma la sua capacità di interagire emotivamente, di comunicare, se non verbalmente, nel codice degli affetti.
Un grave sintomo di rottura dell’equilibrio infantile è rappresentato da atteggiamenti, quali assenze mentali, scatti d’ira, irrequietezza motoria, incapacità di attenzione. Sembra che, spezzato il contenitore materno, il bambino non riesca ad assemblare i suoi pezzi e rincorra, da solo, un’impossibile unità.
Una delle soluzioni più comuni di fronte alla separazione, è quella di isolare la coniugalità dalla filiazione, di non dire nulla al figlio, di continuare la vita familiare come niente fosse, nascondendogli, per il “suo bene”, ogni indizio di crisi.
Aldo racconta: “I miei si sono separati quando ero ancora all’asilo e ricordo che la maestra preoccupata perché stavo sempre in un angolo, cupo e silenzioso, li mandò a chiamare. Venne così a sapere che si erano appena lasciati ma non credevano che io avessi problemi, dato che della questione non ne sapevo niente.”
Il bambino non parla perché non trova parole per esprimere il suo scompenso profondo. Occorre che il figlio si senta autorizzato a raccontare che cosa sta accadendo a casa sua e lo può fare solo se i genitori, informandolo, gli hanno mostrato che è giusto e possibile e hanno trovato espressioni che lui stesso può utilizzare.
Spesso queste omissioni, apparentemente casuali, provocano conseguenze a lungo termine.
Il mondo del bambino è stato destrutturato dalla separazione familiare e per ricomporlo egli ha bisogno di renderlo dicibile e condiviso.
Quando però il bambino è molto piccolo e non è ancora in grado di parlare, nel senso di comprendere e formulare un discorso articolato e compiuto, il silenzio sembra la cosa migliore.
Invece neppure in questo caso lo è, perché i più piccoli hanno mille antenne per captare le nostre tensioni, per condividere, anche senza saperlo, i nostri stati d’animo e, se li teniamo all’oscuro della realtà in cui sono immersi, oscuriamo anche parte della loro mente.
Nel momento della separazione, l’etica risiede nel porre al primo posto il bene dei figli.
Una constatazione troppo ovvia per essere esplicitata, un atteggiamento troppo difficile per non essere mai disatteso. Forte è infatti la tentazione di discolparsi, di porsi in buona luce, di far valere le proprie ragioni contro quelle dell’altro; impossibile non cedere mai, neppure per un attimo, alle pressanti richieste del narcisismo.
Ma non si chiede ai genitori di essere perfetti, tanto meno in questi frangenti, basta che siano genitori abbastanza buoni.
“I guasti non ci vengono tanto dai traumi infantili,
quanto dalla modalità traumatica con cui ricordiamo l’infanzia.”JAMES HILLMAN, Il Codice dell’anima
Bibliografia
- “Quando i genitori si dividono, le emozioni dei figli” di Silvia Vegetti Finzi, Mondadori Editore, 2005.